Non solo Bric. La classificazione dei Paesi emergenti necessita di un aggiornamento urgente: ai quattro grandi (Brasile, Russia, India, Cina) bisogna aggiungere altre 21 economie in rapidissima crescita, il cui Pil è aumentato in media del 6,2% nel 2011 e continuerà a salire del 5,9% anche nel 2012. Quasi quattro volte tanto il tasso di sviluppo dell’Eurozona, in calo dall’1,6% all’1,1% dell’anno prossimo. Tra i nuovi emergenti vi sono Stati come il Qatar, il Kazakistan, il Vietnam, la Nigeria, il Ghana e l’Indonesia, in grado di rivaleggiare anche con i grandi colossi asiatici in termini di velocità relativa di crescita.
È quanto emerge dallo studio Rapid growth markets (Rgm) forecast di Ernst&Young, che analizza le tendenze economiche in atto nei Paesi emergenti e il loro rapporto con le economie avanzate. Nell’arco degli ultimi dieci anni, il Pil degli Rgm è cresciuto a un ritmo del 5,8% annuo, e per la prossima decade gli analisti stimano che il boom economico sia destinato a proseguire, seppure a un ritmo meno accentuato, con un incremento medio del 3,5% l’anno.
Donato Iacovone, country managing partner di Ernst & Young in Italia, spiega così i fattori che hanno determinato il successo delle economie emergenti: «Tra i Paesi a più rapida crescita, molti sono trainati dalla disponibilità di petrolio, gas naturale e metalli. Fatta eccezione per la pausa del 2008, negli ultimi anni la richiesta di materie prime è aumentata costantemente. Altri Stati ancora contano su fattori diversi, come il basso costo della manodopera, per aumentare la competitività delle economie locali e la capacità di attrazione di investimenti produttivi dall’estero».
Il flusso di investimenti diretto verso gli Rgm è più che raddoppiato nel giro di 10 anni, dai 210 miliardi di dollari del 2000 ai 445 miliardi del 2010. A oggi, gli investimenti diretti nei 25 nuovi Paesi emergenti ammontano al 50% del totale globale. Contemporaneamente, però, cresce anche l’interdipendenza tra Paesi avanzati e in via di sviluppo. Secondo Iacovone, «sino a pochi anni fa il flusso commerciale era molto semplice: gli investitori occidentali andavano a cogliere le opportunità di produrre beni a costo più basso, per poi riesportare verso i Paesi avanzati. Poi, quasi tutti gli Rgm hanno sviluppato un mercato locale con una crescente domanda domestica. È quindi diminuita l’esigenza di esportare i prodotti e sono aumentate le importazioni».
Il risultato è che oggi l’export dai Paesi emergenti è sceso sino a contribuire al 50% dei Pil nazionali, una proporzione sempre più vicina al 40% della zona Euro. Viceversa, i Paesi sviluppati esportano beni per 9.800 miliardi di dollari verso i rapid growth markets. Non solo: «Entro il 2020, ci aspettiamo che il 33% delle esportazioni dalle economie avanzate sia destinato agli Rgm. In pratica, un dollaro su tre del controvalore esportato andrà verso gli emergenti, per un totale di 17.600 miliardi», stima l’esperto. Sempre guardando al 2020, le stime di Ernst & Young delineano uno scenario in cui i Paesi ad alto potenziale contribuiranno al 50% del Pil mondiale (calcolato a parità di potere d’acquisto), al 38% dei consumi e al 46% delle esportazioni di beni globali.
I fattori che determinano queste stime positive sono numerosi: si va dal miglioramento della gestione economica ai bassi tassi di indebitamento pubblico e privato, passando anche per gli importanti investimenti pubblici nelle infrastrutture locali. L’interdipendenza tra Paesi avanzati e Stati emergenti implica però delle criticità che potrebbero costituire un ostacolo alle potenzialità di crescita.
Se si verificasse uno scenario di recessione in Europa e stagnazione negli Stati Uniti, il tasso previsto di aumento medio del Pil si dimezzerebbe al 3,2% già nel 2012-2013. Ne soffrirebbero pesantemente sia gli esportatori di petrolio e materie prime come Russia, Brasile e Cile, sia le nazioni con commercio e legami finanziari importanti con l’occidente come Corea e Singapore.
«Non bisogna ignorare gli altri fattori che potrebbero creare rallentamenti allo sviluppo degli Rgm. Prima fra tutti, l’instabilità politica di alcune regioni che potrebbe creare crisi paralizzanti come è accaduto in Nordafrica. Ma le sfide includono anche la pressione inflazionistica crescente e l’esigenza di infrastrutture sufficienti a supportare un potenziale di crescita a lungo termine», conclude Iacovone.
Fonte: Redazione di Ilsole24ore.com