Il cinema America, chiuso per fallimento dal ’99, rimane completamente abbandonato e in rovina per anni. Nel 2002 viene acquistato dalla Progetto Uno srl, società che vuole abbatterlo per ricavarne venti mini appartamenti di lusso e un garage. Ma il 13 novembre 2012, quando la giunta Alemanno sta per dare l’ok ai lavori, scatta l’occupazione.
“Con la riforma Gelmini – racconta Valerio Carocci, 23 anni, Scienze della Comunicazione alla Sapienza fondatore dell’associazione piccolo cinema america e occupante della prima ora – non avevamo più le scuole come luogo di incontro nel pomeriggio. Molti ragazzi della periferia, che venivano a studiare in Centro, non trovavano luoghi di aggregazione. Così in 50, liceali e universitari, abbiamo scelto l’America come spazio perfetto, un simbolo della speculazione edilizia in un quartiere vetrina.
Nei diciotto mesi successivi, i volontari hanno rifatto tetto, grondaia, pavimenti, impianto elettrico. Creata una biblioteca e un’aula studio. Centomila euro di lavori, raccolti con le sottoscrizioni.
L’occupazione ha successo, le serate sono sempre più affollate, la storia dei ragazzi dell’America comincia a interessare registi, attori e produttori. Artisti attratti da quella platea giovane e appassionata. Mille giovani in sala, una cosa mai vista. A Via Natale del Grande vengono a presentare i loro film, o quelli dei loro maestri i premi Oscar Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore. Nanni Moretti, Carlo Verdone, Paolo Virzì. E ancora, per citare solo alcuni nomi: Francesca Archibugi, Francesco Bruni, Francesca e Cristina Comencini, Matteo Garrone, Daniele Luchetti, Mario Martone. Con Alessandro Gassman, Elio Germano, Rocco Papaleo, Toni Servillo, Valerio Mastandrea. E gli stessi maestri: Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo, Francesco Rosi, Ettore Scola.
Forti di tanto sostegno, gli occupanti spingono Comune e Regione a fare un passo avanti: la candidatura dell’America a bene di interesse culturale. Tutelato dunque da precisi vincoli di destinazione d’uso.
A novembre, scatta il doppio vincolo: sull’edificio che non può essere destinato ad uso residenziale, e sulle decorazioni interne di Pietro Cascella.
La proprietà invece impugna i vincoli davanti al Tar.
Il 6 ottobre 2015 il TAR ha appena respinto i due ricorsi del costruttore privato che voleva demolire il Cinema America. Trastevere, mondo cinematografico ed il Piccolo America hanno nuovamente vinto sulle volontà speculative della società Progetto 1 srl di Massimo Paganini e Victor Raccah
Ecco il sogno che ha incantato tutti: non le mani, ma il cuore sul cinema.
Sono quindici, tutti studenti di liceo e universitari tra i 16 e i 23 anni provenienti da diverse zone della periferia romana. Ma sono riusciti a tirare fuori dalle quattro mura di una stanza singola la loro generazione di nativi digitali, nati e cresciuti con la testa dentro il monitor di un computer e oggi entusiasti di aprire lo sguardo sul grande schermo.
Come dice Valerio Carocci, uno dei ragazzi capofila del Cinema America, «non conta il posto, contano il gruppo e le idee». E loro di idee ne hanno tante. Culturali, sociali e imprenditoriali.
La più ambiziosa? Trasformare Trastevere in un Rione del cinema, tracciando la storia dei tanti set cui ha fatto da location e creando un “circuito diffuso” di monosale, dal Sacher all’America, dall’Alcazar al Reale, con un unico portale online e botteghini condivisi alla maniera del West End della Londra dei teatri
A sentirlo parlare, con i suoi 23 anni investiti a studiare Comunicazione all’università, Valerio farebbe invidia ai manager più navigati. «Basta immaginare la città in modo diverso, più innovativo. L’occupazione del Cinema America è stato un momento di resistenza contro la passività delle istituzioni. L’assenza di dialogo e le mancate promesse sono frustranti perché ti fanno sentire sbagliato, ti fanno sentire un problema. Invece, in una società civile, i giovani che si attivano in ambito culturale e sociale dovrebbero essere una risorsa. In questi settori tutti i bandi regionali, nazionali ed europei chiedono la creazione di nuovi pubblici. Noi lo abbiamo fatto ma continuiamo ad essere ignorati».
Ottenuto dal ministero il vincolo di bene di interesse storico-artistico sulla sala del Cinema America e dopo lo sgombero notturno di cui Valerio ancora oggi riesce a parlare a mala pena per lo shock subito in prima persona, da solo, e di cui anche Francesco Bruni ci ha raccontato di essere stato testimone casuale e allibito, i ragazzi del Cinema America continuano a lavorare con metodo e passione a progetti alternativi che stanno diffondendo un vero e proprio contagio cinematografico tra i loro coetanei.
«La cosa sorprendente è che nessuno di noi era appassionato di cinema» continua a raccontarci Valerio. «Abbiamo scelto di occupare l’America perché l’intero rione era in mobilitazione da 8 anni e a Roma rappresentava l’emblema della lotta popolare per la memoria storica contro il tentativo di rigenerazione urbana meramente speculativa. Poi, come ci ha detto Bernardo Bertolucci, il cinema lo abbiamo imparato facendolo e oggi non scarichiamo più i film. Avere uno spazio dove entrare in contatto diretto con chi fa il cinema, toccare con mano l’amore che autori e produttori hanno per il loro mestiere, questo ha fatto innamorare anche noi».
«L’idea è nata dall’esigenza di incanalare la nostra delusione in modo costruttivo e di trasformarla in attivazione e proposta, non solo in protesta» ci ha spiegato Valerio. «Vogliamo fare e non solo criticare, anche perché il modo migliore di muovere una critica contro l’immobilità è proprio l’iniziativa concreta
Nonostante i duemila spettatori riuniti a metà maggio con la sola forza dei social network per assistere alla proiezione gratuita del “Rocky Horror Picture Show” sulle mura di Castel Sant’Angelo, le istituzioni continuano a trascurare questa sorprendente avventura cinematografica, mentre il mondo del cinema ne ha colto le enormi potenzialità.
«Produttori e distributori hanno capito la nostra capacità di comunicazione con il pubblico dei nostri coetanei» spiega Valerio «e in questo caso hanno scelto una sala non convenzionale, perché si tratta di un film di lotta che avrebbero voluto poter proiettare al Cinema America. Noi nativi digitali siamo stati abituati a credere che il cinema sia un momento individuale, da vivere sul pc di casa scaricando film da internet, invece stiamo imparando che il cinema va visto in sala. E la sala può essere ovunque, purché sia un luogo di condivisione».
Investire sui giovani, renderli protagonisti e non solo fruitori, appassionarli e poi accompagnarli nella scoperta di nuove passioni. Questo è il futuro (non solo) del cinema, a fronte delle sale cittadine che invece si svuotano. Ma per dimostrare quanto importante sia l’educazione delle nuove generazioni alla sala, luogo per molti sconosciuto, un’esperienza come quella dei ragazzi del Cinema America è dovuta passare attraverso l’occupazione di un immobile privato – che hanno ristrutturato a spese loro, con quasi 200 mila euro di offerte libere raccolte in due anni di iniziative – e una serie di proiezioni pubbliche non autorizzate.
«Nella lotta culturale e sociale, il confine tra legale e illegale non deve essere un vincolo. Ci sono cose giuste e cose ingiuste e a volte la legge deve essere riscritta. L’occupazione del Cinema America era illegale ma, se non ci fosse stata, un immobile di indiscutibile valore culturale e antropologico sarebbe stato demolito. Sappiamo che non tutte le sale dismesse potranno riaprire come sale cinematografiche, ma chiediamo almeno che vengano destinate a servizi alternativi, quali biblioteche o sale studio, piuttosto che vederle trasformate in ennesimi esercizi commerciali da movida notturna. Se riusciamo a riportare il pubblico al cinema, avremo almeno eliminato l’alibi più diffuso della speculazione edilizia sulle sale dismesse.
fonte
Repubblica di Giulia Santerini 26/3/205
Espresso di Ornella Sgroi 28/5/2015
Repubblica 6/10/2015