Salone del Mobile batte Salone dell’Immobile 1-0

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Italia • Milano la kermesse più ricca di eventi e avvenimenti dell’anno, il Salone del Mobile, che richiama addetti e visitatori da tutta Italia e da tutto il mondo. Perché come siamo bravi a fare gli arredi noi non lo è nessuno. Abbiamo conquistato Paesi del tutto diversi per cultura, storia e gusto estetico producendo e realizzando mobili su misura per russi, arabi, americani, cinesi, giapponesi, persino capi di stato e dittatori africani. Ovunque vai nel mondo trovi mobili e arredamenti italiani: negli alberghi, sulle navi, dentro gli ovattati saloni delle banche d’affari, sulla cima dei grattacieli più assurdi. Si parla delle eccellenze italiane della moda, della meccanica di precisione, del cibo ma ci si dimentica sempre del mobile come se fosse un accessorio di poco conto per la nostra bilancia dei pagamenti. L’Italia è, infatti, tra i soli 5 Paesi al mondo ad avere un surplus commerciale manifatturiero con l’estero superiore ai 100 miliardi di dollari. In questo quadro uno dei settori trainanti dell’economia e dell’export nazionale è proprio il legno arredo: con oltre 10 miliardi di surplus, l’industria italiana del mobile è seconda nella graduatoria mondiale, preceduta solo dalla Cina.
Nel documentarci su questi dati prima di stendere queste brevi note, il pensiero, per analogia linguistica, è scivolato fatalmente dal termine ‘mobile’ a quello di ‘immobile’ con qualche considerazione a latere. Siamo altrettanto bravi a costruire immobili come a fare mobili? Sì. I nostri palazzi possono competere a livello mondiale con quelli dei più famosi architetti e progettisti? Sì. Il livello di finitura e accuratezza nei dettagli è migliore di qualsiasi altro operatore costruttore al mondo? Sì. Abbiamo un indotto di imprese manifatturiere correlate all’edilizia completo e di elevatissima qualità. Sì. L’eleganza e lo stile dei nostri building è superiore a qualsiasi altro modello internazionale? Sì.
Eppure da tutti questi ‘sì’ scaturisce non una montagna ma un topolino. Di tutta questa supremazia culturale, artistica, tecnica non ci portiamo a casa nulla, se non piccoli bocconcini raffazzonati qua e là in giro per il mondo dai singoli soggetti manifatturieri. Null’altro. Il mondo della moda, del legno, dell’auto di lusso non fatturano nemmeno la metà di quello immobiliare eppure creano ricchezza, valore, immagine.
La gente viene da tutto il mondo per vedere gli abiti dei nostri stilisti, le cucine e le camere da letto dei nostri mobilieri, i cibi dei nostri territori preparati dai nostri cuochi. Eppure non siamo stati capaci di far venire nessuno, o quasi, a vedere i nostri palazzi, la nostra abilità nel costruirli, nel convertirli, nel rigenerarli. Abbiamo il più grande museo a cielo aperto di edifici storici, di palazzi nobiliari, di tenute e dimore di classe, eppur non sappiamo minimamente valorizzarli e tradurli in una proposta di sistema. Abbiamo un patrimonio pubblico che potrebbe essere lavorato e reso interessante per ogni tipo di investitore internazionale, eppure lasciamo deperire e frantumare questi oggetti per incuria e mancanza di idee. Abbiamo città piene di orrendi condomini – piccoli crimini contro l’umanità – che andrebbero distrutti e cancellati anche dalla memoria per lasciare spazio a nuovi grattacieli o strutture abitative, eppure tutto rimane bloccato, inerme di fronte a difficoltà di ogni genere, piccole e grandi.
Forse c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo modo di procedere che abbiamo adottato finora, in questo disinteresse pubblico e privato per il nostro costruito come se fosse un moloch intoccabile e sacro. Forse non abbiamo capito la lezione dei mobilieri e dei sarti, pardon stilisti, che hanno fatto dell’Italia un marchio da esportare e un motivo di business. Ma con i “forse”, gli “eppure” e i “ma” non si va da nessuna parte.
fonte redazione del quotidiano immobiliare aprile 2015