LE NOSTRE VACANZE ROMANE A BORDO DELLA VESPA946: E SCOPRIAMO UNA ROMA SPARITA!
Qualche week end fa, a bordo della nuovissima Vespa946, abbiamo scoperto una Roma incantevole che spesso si nasconde allo sguardo frettoloso dei turisti e persino a quello dei romani, distratti dalla quotidianità stressante e tiranna. Oggi vi parliamo di una Roma Sparita, che neppure noi conoscevamo, scovata nel ripercorrere le tappe più belle del film Vacanze Romane.
Conoscete la storia? Anna (Audrey Hepburn) è una principessa in viaggio diplomatico in Europa e Roma è una delle tappe previste dall’itinerario. Nelle primissime scene, per raccontare il fitto carnet di appuntamenti ufficiali, vengono inquadrati San Pietro e i Fori imperiali. La giovane, stremata da tanti impegni e dalla rigidità del protocollo “di corte” è vittima di una crisi isterica e seppur sedata, fugge in stato confusionale dall’ambasciata su un furgone delle bibite. Sapete qual è l’edificio scelto per gli esterni della sede diplomatica? Palazzo Barberini, che oggi ospita la Galleria Nazionale di Arte Antica (via delle Quattro Fontane, a due passi da via Veneto)! In pochissimi sanno che questa via è un tratto dell’antica “Strada Felice”, lunga quasi tre chilometri, voluta nel 1585 da papa Sisto V (al secolo Felice Peretti) per collegare Trinità dei Monti alla Basilica di Santa Maria Maggiore e a quella di Santa Croce in Gerusalemme. Dopo il 1870 quel rettilineo venne frazionato e ciascun tratto assunse nomi diversi (via Sistina, ad esempio, è l’ultimo omaggio al papa che ne volle la realizzazione). A proposito: ma perché il papa fece costruire la Strada Felice? Per consentire ai fedeli in pellegrinaggio a Roma un migliore orientamento, collegando tra loro le principali basiliche della città!
Ma torniamo alla principessa Anna. In stato confusionale, giunge alla Fontana delle Naiadi, in Piazza della Repubblica. Autore della bella fontana fu Mario Rutelli (il bisnonno dell’ex sindaco!), che realizzò le quattro ninfe nel 1901. La nudità e la posa dellestatue scatenarono forti polemiche ma non provocarono la rimozione delle naiadi come invece accadde per la scultura centrale, oggetto di una feroce ironia.
Rutelli infatti presentò al pubblico un gruppo scultoreo comprendente tre figure maschili, un polpo e un delfino in un abbraccio poco comprensibile soprannominato subito “fritto misto di Termini” e traslato dopo varie vicissitudini in piazza Vittorio Emanuele II. In sostituzione di quello, lo scultore siciliano ne realizzò un altro (un uomo avvinghiato a un delfino) che alla fine ottenne il placet dell’amministrazione. Ma torniamo ad Anna che continua a vagare da sola nella grande città!
La ritroviamo nei pressi dell’Arco di Settimio Severo dove incontra il giornalista Joe Bradley (Gregory Peck) che non solo non la riconosce ma la scambia addirittura per un’ubriacona! Nonostante questo, intenerito dalla ragazza, la porta a casa sua, in Via Margutta 51, la famosa via degli artisti. La via ancora oggi conserva tutto il suo fascino ma purtroppo l’intero palazzo in cui venne ambientata l’abitazione dell’inviato americano necessiterebbe di un profondo e accurato restyling(tanto per non vedere le facce deluse dei turisti convinti di trovare un gioiellino come nel film…)!
Solo l’indomani Joe scopre l’identità di Anna e decide di fare lo scoop più grande della sua carriera: la seguirà nel suo giro per Roma con un fotografo alle calcagna, in modo da rubare scatti inediti della principessa! Grazie a questa passeggiata, ritroviamo una Roma in bianco e nero in qualche caso simile a quella odierna ma, molto più spesso, ormai scomparsa. Come il Muro dei Desideri (Wall of Wishes, nel film), per diversi anni meta di cinefili curiosi, che però non ne hanno trovato traccia, nelle loro peregrinazioni. Quel muro infatti, in Viale del Policlinico stava crollando sotto il peso degli ex voto incastonati attorno alla statua di una Madonnina e l’amministrazione, in vista delle imminenti Olimpiadi (1960), decise di “ripulirlo” pochi anni dopo l’uscita di Vacanze Romane.
Per salvaguardarne la memoria, però, la statuetta e qualche ex voto sono stati traslati all’interno di una cappelletta votiva, sempre nelle mura del Castro. Lo sapevate? E ora la scena più famosa del film: la scorrazzata a bordo della Vespa, tra il Colosseo, Piazza Venezia, il teatro di Marcello fino alla Bocca della Verità alle prese con i segreti inconfessabili dei protagonisti. Mentre vi rassegnate a una lunga attesa, perché sono molti i turisti che vogliono farsi fotografare con una mano tra le fauci del mascherone, potreste scoprire che se tutti sembrano conoscere la leggenda dell’amputazione della mano ai bugiardi che hanno l’ardire di infilarla nella fessura davvero pochi sono quelli che sanno che anticamente, la Bocca della Verità era un tombino fognario con fessure utili per far defluire gli scarichi cittadini nella vicina Cloaca Maxima!
Come novelli Hepburn e Peck a bordo della nostra fiammante Vespa946 bianca, abbiamo individuato tre tappe davvero significative, per la trama del film e per la nostra ri-scoperta di Roma. La prima, al Colosseo. Quello che rimane dell’imponente Anfiteatro Flavio non è che un terzo della struttura originaria. Colpa del tempo? Sì. Dei terremoti? Anche. Ma soprattutto dei “saccheggi” sistematici a cui fu sottoposto dal IX secolo in poi per costruire soprattutto i palazzi della Roma papalina tra cui, pensate un po’, Palazzo Barberini: un fil rouge continua a mantenere insieme questo racconto un po’ stravagante, non trovate?
E per non smentirci, altro anello della catena: al tramonto, giungiamo a Trinità dei Monti, non solo per godere di una delle viste più belle della capitale ma per rimetter piede sulla Strada Felice di papa Sisto V. Ricordate la strada di cui abbiamo parlato prima, quella che doveva collegare il Pincio con la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme? Ebbene, quando finalmente la chiesa della Santissima Trinità dei Monti fu consacrata, si decise di realizzare la Strada Felice ma i lavori di sbancamento abbassarono notevolmente il piano strada e di fatto ci si trovò con una chiesa… inaccessibile!
L’architetto Domenico Fontana fu costretto quindi a rimediare, progettando due scalinate convergenti verso il portale, di cui una rampa si intravede nella foto tratta dal film (non confondete queste scale con la Scalinata di Piazza di Spagna, realizzata molti anni dopo!). Altra curiosità: diverse città italiane hanno chiamato Pincio il proprio parco panoramico nel 1870, per celebrare la nomina di Roma a capitale d’Italia: ve n’è uno ad Ancona, Assisi, Bologna, Cagliari, Rieti, Urbino e in altri piccoli centri. Che straordinario senso di patria… qualche secolo fa! Un ultimo sforzo di concentrazione, il film ormai volge quasi al termine!
Scendiamo verso piazza del Popolo (godendoci una vista sulla cupola di San Pietro in lontananza lungo Viale Gabriele D’Annunzio) e ci avviamo verso una festa sul Tevere, nei pressi di Castel Sant’Angelo, il luogo dove il giornalista scoprirà di nutrire un tenero sentimento verso la ragazza tale da impedirgli di utilizzare gli scatti rubati durante le loro scorribande per Roma. Tutto accade in una notte. Tra le luci soffuse di un barcone, ecco un ballo romantico, una rissa, un tuffo nel fiume e il primo casto bacio…
A bordo della Vespa ci fermiamo davanti alla Mole Adriana (meglio conosciuta come Castel Sant’Angelo) e scopriamo che, a dispetto di quello che si crede, il castello nasce come Mausoleo. Vi sono sepolti diversi imperatori romani, da Aurelio – che l’ha fatto costruire – a Caracalla. Il riferimento all’angelo è dovuto a una leggenda: la visione dell’arcangelo Michele da parte di Papa Gregorio Magno durante una processione per la gravissima epidemia del 590. L’immagine dell’angelo che inguainava la spada venne interpretata come il miracoloso segnale della fine della peste e da allora un Angelo veglia sulla fortezza!
Il sogno dello scoop sfuma ma non importa: l’indomani, durante una conferenza stampa in cui Anna tornerà a vestire i panni della principessa, Joe le consegnerà quelle foto compromettenti e le dirà addio. La scena è stata girata nella MERAVIGLIOSA Galleria della Sala Grande di Palazzo Colonna. Se pensate che la reggia di Versailles meriti una visita, prima di andar tanto lontano, programmate una passeggiata tra le 500 stanze di quello che è giustamente definito il “gioiello del barocco romano”. Tra i saloni, le stanze, gli affreschi, le sculture, i broccati e i ricordi di una famiglia patrizia che annovera papi e condottieri valorosi (tra cui il vincitore della Battaglia di Lepanto), troverete anche una palla di cannone sparata nel 1849 dalle truppe francesi dal Gianicolo contro il Quirinale e lasciata lì dove cadde, frantumando un gradino! NON lasciate Roma senza aver visitato questa meraviglia!
Fonte sito https://www.turistadimestiere.com/
La grande villa colonica di Picasso, ultima dimora del pittore a Mougins (Alpi Marittime), e’ stata aggiudicata per poco piu’ di 20 milioni di euro a un uomo d’affari neozelandese originario dello Sri-Lanka durante la vendita all’asta presso il tribunale di Grasse. Il prezzo d’asta era stato fissato a 18,36 milioni di euro e Rayo Withanage, l’investitore di nazionalita’ neozelandese – a capo della societa’ immobiliare BMB fondata insieme a un principe del Brunei – ha alzato l’offerta del 10% aggiudicandosi la villa a 20,196 milioni di euro. La lunga vicenda legata alla vendita della villa di Picasso non e’ ancora finita perche’ l’acquirente ha ora due mesi per trovare i fondi necessari per il suo acquisto. “Rayo Withanage e’ proprietario da oggi ma deve ancora pagare il prezzo entro due mesi” conferma Van Rolleghem, avvocato della banca olandese Achmea Bank, creditore dell’ex proprietario dell’immobile. L’ex proprietario, che aveva acquistato la villa colonica nel 2007 per 12 milioni di euro da un erede Picasso, Catherine Hutin-Blay, aveva investito 10 milioni di euro in lavori. La casa colonica di Notre-Dame de Vie, abitata dalla vedova di Picasso, Jacqueline Roque, fino al suo suicidio nel 1986, ha una vista mozzafiato sull’Esterel e sulla baia di Cannes. La casa dispone di 32 stanze per un totale di 1.800 metri quadri, su un terreno di oltre 3 ettari con piscina, campi di tennis, casa del custode e vari annessi.
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) -|fonte web Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense
Il papa: “Se un convento lavora come un hotel deve pagare l’Ici”
I conventi che ospitano i migranti devono pagare l’Ici. A sostenerlo è Papa Francesco in un’ intervista rilasciata a Radio Renasenca: Pure le congregazioni religiose devono fare attenzione alla tentazione del dio denaro.
Il papa: “Se un convento lavora come un hotel deve pagare l’Ici”
Se si guadagna nell’accoglienza bisogna pagare le tasse“.
Il Santo Padre illustra come ci siano ordini religiosi che fanno i furbetti sulle spalle dei migranti: “Alcune congregazioni – spiega il Pontefice – dicono: ‘no, ora che è il convento è vuoto faremo un hotel, un albergo: possiamo ricevere gente e con ciò ci manteniamo e guadagniamo denaro’. Bene, se desideri questo – taglia corto Bergoglio – paga le imposte. Un collegio religioso è esente dalle imposte ma se lavora come un hotel è giusto che paghi le imposte “.
Sempre per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti all’interno delle parrocchie, il papa ha detto: “Quando dico che una parrocchia deve accogliere una famiglia di migranti, non intendo che per forza debbano andare a vivere in canonica, ma che la comunità parrocchiale cerchi un posto, un angoletto per fare un piccolo appartamento o, nel peggiore dei casi, si organizzi per affittare un appartamento modesto per quella famiglia“. L’importante, per il Papa, è che i migranti “abbiano un tetto, che vengano accolti e vengano inseriti nella comunità“.
fonte web il Giornale 14/9/2015
LORENZO CAPELLINI, fotografo e Nour Melehi responsabile fondo Moravia ci racconterà come andò il viaggio Roma Nairobi..
“Con il biglietto “Roma-Nairobi” in tasca vado a spasso per le vie del centro: il Corso, Piazza di Spagna, via Condotti, via del Babuino. E’ la fine di febbraio, le feste coi loro acquisti coatti sono ormai lontane: e infatti i negozi sono pavesati da striscioni con la scritta: “SALDI, SALDI, SALDI”. E’ la vera fiera del consumismo basata non più su un’occasione di profitto, insomma sulle cosiddette “occasioni”. Oppresso da questo scatenamento consumistico, decido lì per lì di fare qualcosa di drastico: volare a Nairobi, e, senza fermarmi nella città, partire direttamente in Land Rover per la più selvaggia e autentica Africa, lontano dalla ressa dei “saldi” europei. Detto e fatto. Telefono a Nairobi ad un mio amico ex cacciatore ed ex piantatore di caffè col quale sono già d’accordo per fare con lui una scorribanda per il Kenia, lo prego di trovarsi all’aeroporto al mio arrivo. Così sono del tutto sicuro di passare dai “saldi” di Piazza di Spagna a ciò che Karen Blixen, nel suo libro ‘La mia africa’, ha definito in questo modo: Tutto ciò che si vedeva emanava un’aria di grandiosità, di libertà e di incomparabile nobiltà.” (AM, Lettere dal Sahara)
fonte fondo alberto Moravia
Il cinema America, chiuso per fallimento dal ’99, rimane completamente abbandonato e in rovina per anni. Nel 2002 viene acquistato dalla Progetto Uno srl, società che vuole abbatterlo per ricavarne venti mini appartamenti di lusso e un garage. Ma il 13 novembre 2012, quando la giunta Alemanno sta per dare l’ok ai lavori, scatta l’occupazione.
“Con la riforma Gelmini – racconta Valerio Carocci, 23 anni, Scienze della Comunicazione alla Sapienza fondatore dell’associazione piccolo cinema america e occupante della prima ora – non avevamo più le scuole come luogo di incontro nel pomeriggio. Molti ragazzi della periferia, che venivano a studiare in Centro, non trovavano luoghi di aggregazione. Così in 50, liceali e universitari, abbiamo scelto l’America come spazio perfetto, un simbolo della speculazione edilizia in un quartiere vetrina.
Nei diciotto mesi successivi, i volontari hanno rifatto tetto, grondaia, pavimenti, impianto elettrico. Creata una biblioteca e un’aula studio. Centomila euro di lavori, raccolti con le sottoscrizioni.
L’occupazione ha successo, le serate sono sempre più affollate, la storia dei ragazzi dell’America comincia a interessare registi, attori e produttori. Artisti attratti da quella platea giovane e appassionata. Mille giovani in sala, una cosa mai vista. A Via Natale del Grande vengono a presentare i loro film, o quelli dei loro maestri i premi Oscar Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore. Nanni Moretti, Carlo Verdone, Paolo Virzì. E ancora, per citare solo alcuni nomi: Francesca Archibugi, Francesco Bruni, Francesca e Cristina Comencini, Matteo Garrone, Daniele Luchetti, Mario Martone. Con Alessandro Gassman, Elio Germano, Rocco Papaleo, Toni Servillo, Valerio Mastandrea. E gli stessi maestri: Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo, Francesco Rosi, Ettore Scola.
Forti di tanto sostegno, gli occupanti spingono Comune e Regione a fare un passo avanti: la candidatura dell’America a bene di interesse culturale. Tutelato dunque da precisi vincoli di destinazione d’uso.
A novembre, scatta il doppio vincolo: sull’edificio che non può essere destinato ad uso residenziale, e sulle decorazioni interne di Pietro Cascella.
La proprietà invece impugna i vincoli davanti al Tar.
Il 6 ottobre 2015 il TAR ha appena respinto i due ricorsi del costruttore privato che voleva demolire il Cinema America. Trastevere, mondo cinematografico ed il Piccolo America hanno nuovamente vinto sulle volontà speculative della società Progetto 1 srl di Massimo Paganini e Victor Raccah
Ecco il sogno che ha incantato tutti: non le mani, ma il cuore sul cinema.
Sono quindici, tutti studenti di liceo e universitari tra i 16 e i 23 anni provenienti da diverse zone della periferia romana. Ma sono riusciti a tirare fuori dalle quattro mura di una stanza singola la loro generazione di nativi digitali, nati e cresciuti con la testa dentro il monitor di un computer e oggi entusiasti di aprire lo sguardo sul grande schermo.
Come dice Valerio Carocci, uno dei ragazzi capofila del Cinema America, «non conta il posto, contano il gruppo e le idee». E loro di idee ne hanno tante. Culturali, sociali e imprenditoriali.
La più ambiziosa? Trasformare Trastevere in un Rione del cinema, tracciando la storia dei tanti set cui ha fatto da location e creando un “circuito diffuso” di monosale, dal Sacher all’America, dall’Alcazar al Reale, con un unico portale online e botteghini condivisi alla maniera del West End della Londra dei teatri
A sentirlo parlare, con i suoi 23 anni investiti a studiare Comunicazione all’università, Valerio farebbe invidia ai manager più navigati. «Basta immaginare la città in modo diverso, più innovativo. L’occupazione del Cinema America è stato un momento di resistenza contro la passività delle istituzioni. L’assenza di dialogo e le mancate promesse sono frustranti perché ti fanno sentire sbagliato, ti fanno sentire un problema. Invece, in una società civile, i giovani che si attivano in ambito culturale e sociale dovrebbero essere una risorsa. In questi settori tutti i bandi regionali, nazionali ed europei chiedono la creazione di nuovi pubblici. Noi lo abbiamo fatto ma continuiamo ad essere ignorati».
Ottenuto dal ministero il vincolo di bene di interesse storico-artistico sulla sala del Cinema America e dopo lo sgombero notturno di cui Valerio ancora oggi riesce a parlare a mala pena per lo shock subito in prima persona, da solo, e di cui anche Francesco Bruni ci ha raccontato di essere stato testimone casuale e allibito, i ragazzi del Cinema America continuano a lavorare con metodo e passione a progetti alternativi che stanno diffondendo un vero e proprio contagio cinematografico tra i loro coetanei.
«La cosa sorprendente è che nessuno di noi era appassionato di cinema» continua a raccontarci Valerio. «Abbiamo scelto di occupare l’America perché l’intero rione era in mobilitazione da 8 anni e a Roma rappresentava l’emblema della lotta popolare per la memoria storica contro il tentativo di rigenerazione urbana meramente speculativa. Poi, come ci ha detto Bernardo Bertolucci, il cinema lo abbiamo imparato facendolo e oggi non scarichiamo più i film. Avere uno spazio dove entrare in contatto diretto con chi fa il cinema, toccare con mano l’amore che autori e produttori hanno per il loro mestiere, questo ha fatto innamorare anche noi».
«L’idea è nata dall’esigenza di incanalare la nostra delusione in modo costruttivo e di trasformarla in attivazione e proposta, non solo in protesta» ci ha spiegato Valerio. «Vogliamo fare e non solo criticare, anche perché il modo migliore di muovere una critica contro l’immobilità è proprio l’iniziativa concreta
Nonostante i duemila spettatori riuniti a metà maggio con la sola forza dei social network per assistere alla proiezione gratuita del “Rocky Horror Picture Show” sulle mura di Castel Sant’Angelo, le istituzioni continuano a trascurare questa sorprendente avventura cinematografica, mentre il mondo del cinema ne ha colto le enormi potenzialità.
«Produttori e distributori hanno capito la nostra capacità di comunicazione con il pubblico dei nostri coetanei» spiega Valerio «e in questo caso hanno scelto una sala non convenzionale, perché si tratta di un film di lotta che avrebbero voluto poter proiettare al Cinema America. Noi nativi digitali siamo stati abituati a credere che il cinema sia un momento individuale, da vivere sul pc di casa scaricando film da internet, invece stiamo imparando che il cinema va visto in sala. E la sala può essere ovunque, purché sia un luogo di condivisione».
Investire sui giovani, renderli protagonisti e non solo fruitori, appassionarli e poi accompagnarli nella scoperta di nuove passioni. Questo è il futuro (non solo) del cinema, a fronte delle sale cittadine che invece si svuotano. Ma per dimostrare quanto importante sia l’educazione delle nuove generazioni alla sala, luogo per molti sconosciuto, un’esperienza come quella dei ragazzi del Cinema America è dovuta passare attraverso l’occupazione di un immobile privato – che hanno ristrutturato a spese loro, con quasi 200 mila euro di offerte libere raccolte in due anni di iniziative – e una serie di proiezioni pubbliche non autorizzate.
«Nella lotta culturale e sociale, il confine tra legale e illegale non deve essere un vincolo. Ci sono cose giuste e cose ingiuste e a volte la legge deve essere riscritta. L’occupazione del Cinema America era illegale ma, se non ci fosse stata, un immobile di indiscutibile valore culturale e antropologico sarebbe stato demolito. Sappiamo che non tutte le sale dismesse potranno riaprire come sale cinematografiche, ma chiediamo almeno che vengano destinate a servizi alternativi, quali biblioteche o sale studio, piuttosto che vederle trasformate in ennesimi esercizi commerciali da movida notturna. Se riusciamo a riportare il pubblico al cinema, avremo almeno eliminato l’alibi più diffuso della speculazione edilizia sulle sale dismesse.
fonte
Repubblica di Giulia Santerini 26/3/205
Espresso di Ornella Sgroi 28/5/2015
Repubblica 6/10/2015
L’eleganza non ha firma ma lui è un ‘grande’ …e sceglie di farsi ricordare anche con museo!
Accordo tra il comune di Milano e lo stilista per valorizzare la moda, con un museo nell’ex zona industriale dell’Ansaldo.
Lo stilista, con l’approvazione del comune, ha deciso di dare nuova vita ad un immobile industriale dismesso in via Bergognone per costruire un centro espositivo di moda, design e arte. Giorgio Armani ha deciso di mettere a disposizione dei milanesi e dei turisti, disegni, abiti ed esperienze di quasi quaranta anni di successo.
Lo spazio, infatti, ospiterà la collezione permanente di abiti, disegni, immagini realizzate dallo stilista, così come mostre d’arte tematiche temporanee legate alla moda, al design, alla creatività, con particolare attenzione alle nuove generazioni di stilisti e designer. Sono previsti anche spazi dedicati alla formazione, alla ricerca, allo studio, all’approfondimento e alla divulgazione della storia della moda e del costume.
Il nuovo spazio espositivo Armani è un tassello in più nel processo di cambiamento culturale avviato nell’ex area industriale dell’Ansaldo. Nella zona nascerà anche il “Museo delle Culture” progettato da David Chipperfield per dare un volto ancora più internazionale alla città.
Fonte Milano Today 24 luglio 2014
Roma, maggio 2013. Sorgente Group of America, holding americana del Gruppo Sorgente, ha acquistato il Clock Tower Building a Santa Monica in California, per un valore di 34,3 milioni di dollari.
Punto di riferimento per la città, il palazzo in stile Art Decò al 221-225 di Santa Monica Boulevard è stato costruito nel 1929 da Walker & Eisen, ha una superficie totale di 53.465 square feet, suddivisi su dodici piani. Si trova nel quartiere Silicon Beach, così definito per la concentrazione di aziende ad alta vocazione tecnologica, zona di grande vivacità, con negozi e uffici, che nel 2015 sarà attraversata da una nuova tratta ferroviaria.
Il Gruppo intende mantenere la rilevanza storico-architettonica del Clock Building e soprattutto la sua particolarissima facciata con un orologio a quattro quadranti, uno su ognuno dei quattro lati, da cui prende il nome. “Il nostro obiettivo – rilevaVeronica Mainetti, Presidente di Sorgente Group of America - è proprio quello di valorizzare il simbolo e riconfermare la rilevanza culturale che ha sempre avuto per la città. Questo è il secondo acquisto in California e siamo estremamente fieri di poter includere nel nostro portafoglio un’icona mondiale. Uno dei nostri principi guida è proprio la passione per la conservazione dei palazzi storici”.
Designato come monumento storico cittadino nel 2004 dal Santa Monica Landmark Committee, il Clock Tower Building è contraddistinto da una torre con un gigantesco orologio con quattro quadranti, visibile a miglia di distanza e sincronizzato per mezzo di un satellite. Era l’edificio più alto della città al momento della sua costruzione e lo è rimasto per più di quarant’anni. Costruito con il nome di “Bay City Guaranty Building”, era la sede del principale istituto di credito della città, poi è stato acquistato dalla Crocker National Bank e oggi è interamente affittato ad aziende del settore media, high tech e ad uno studio legale. Al piano terra ospita un bar ristorante.
Niente da fare per la vendita all’asta dei due grandi appartamenti che furono di Lucio Dalla, al secondo e al terzo piano della sua storica casa, in via D’Azeglio 15 a Bologna.
All’apertura delle buste nello studio del notaio incaricato dagli eredi e dalle agenzie immobiliari che stanno gestendo l’operazione, nessuna delle offerte pervenute durante il mese di settembre si è avvicinata al prezzo minimo stabilito per le proprietà, di conseguenza la vendita si è impantanata.
Non è escluso che ora siano avviate trattative con i potenziali acquirenti che si sono fatti vivi il mese scorso, però a prezzi inferiori rispetto a quelli fissati inizialmente.
Nel frattempo…. ascoltiamo i suo capolavori
TU NON MI BASTI MAI https://www.youtube.com/watch?v=ez75GMRD4bQ
L’indimenticato poeta della musica italiana, Lucio Dalla, a due anni dalla morte, rimane uno degli artisti più amati del nostro Paese.
Due delle sue case bolognesi sono in vendita si trovano in Via D’Azeglio Casa di luce e Casa di Legno e la villa siciliana di Milo la Casa dei Colori.
Lo hanno deciso gli eredi del cantautore bolognese: vogliono realizzare, con parte del ricavato, una Casa Museo in ricordo del compianto musicista. L’asta, Spazi di Lucio, è partita lo scorso primo di settembre.
La vendita contribuirà, come detto, a dare vita ad un Museo dedicato alla memoria del cantautore bolognese che verrà interamente gestito dalla Fondazione “Lucio Dalla” Spazio di Lucio costituita ufficialmente il 4 marzo per volontà dei cugini del defunto musicista. “La casa museo – dicono gli eredi di Dalla – consentirà, a chi lo vorrà, di varcare la soglia della porta della casa di Lucio e vedere con i suoi occhi i luoghi nei quali ha vissuto ed ha scritto alcuni dei suoi più importanti capolavori.
La casa dei colori proprietà molto amata dal cantautore in cui trascorreva le sue vacanze e dove produceva anche il vino bianco e rosso lo ‘Stronzetto dell’Etna’ gli valse più volte dei premi dalla critica enologica.
Acquistata da Dalla nei primi anni Novanta, Prezzo? 700 mila euro. Non molti, se pensiamo che – oltre al suo valore storico culturale e alla sua bellezza – la proprietà dell’immobile renderà il nuovo proprietario vicino di casa niente di meno che di Franco Battiato.
Napoleone costretto all’esilio sull’isola d’elba vi resta dal maggio del 1814 al febbraio del 1815 ed ha solo 44 anni qui l’ l’imperatore viveva nello stesso modo che a Parigi.
Le sue residenze all’elba villa san martino insieme a villa dei mulini entrambe in portoferraio quest’ultima destinata alla vita pubblica e di rappresentanza costituiscono l’unico vero palazzo imperiale di Napoleone in Italia e l’unico dove l’imperatore nel corso della sua frenetica esistenza abbia abitato continuativamente per oltre dieci mesi.
Villa san martino situata in località san Martino nel comune di portoferraio è una casa dalle caratteristiche architettoniche modeste di stile neoclassico costruita con pietra elbana che si immerge in un luogo lussureggiante che Napoleone scelse come dimora per trascorrere i mesi più caldi della sua vita privata durante il suo esilio elbano.
L’acquisto di Villa san martino avvenne nel giugno del 1814 a nome della principessa paolina e del principe borghese per 41.539 franchi.
L’imperatore affidò all’arch. Paolo Bargigli l’incarico di trasformare un caseggiato fatiscente in una piccola villa e come era solito fare impose che tutto venisse realizzato ‘comme a paris’ avendo cura dei dettagli degli arredi e delle decorazioni delle sale.
Il Bargigli riuscì a creare una dimora che su scala ridotta ripercorreva schemi di altre residenze napoleoniche.
Ne sono una testimonianza le migliaia di libri, le preziose suppellettili, i ben 1152 pezzi di porcellana di Sèvres, gli oltre 70 cavalli da sella e da tiro, le 15 carrozze, gli argenti che Napoleone fece arrivare assieme ai lettini da campo e alle tende ‘da campagna’.
L’architetto realizzò una residenza che si sviluppa su due livelli: uno superiore che presenta, come sale principali, la grande stanza con decorazioni a motivi egittizzanti, la sala egizia, dall’esplicito richiamo alla campagna d’egitto, e quella del nodo d’amore che allude alla separazione di napoleone dalla consorte Maria luisa, ed un piano inferiore destinato ad accogliere i servizi e il cabinet de bain detto bagno della verità o di paolina.
La partenza di napoleone, le vicende che seguirono gli innumerevoli cambi di proprietà e di destinazione d’uso della villa san martino, portarono questa residenza ad un progressivo decadimento e alla dispersione degli arredi originari. I mobili di grande pregio e fattura che attualmente arredano le sale sono stati rinvenuti sul mercato antiquario.
La residenza dell’imperatore trova un suo maestoso ampliamento nel 1851 su volere del principe russo Anatolio Demidoff, quest’ultimo si sposò con la nipote di Napoleone Matilde Bonaparte. L’ampliamento si concretizzò nella realizzazione di una galleria decorata con coppie di colonne di granito. Anatolio dopo la morte di Napoleone vi sistemò una sorta di museo a lui dedicato.