LE NOSTRE VACANZE ROMANE A BORDO DELLA VESPA946: E SCOPRIAMO UNA ROMA SPARITA!
Qualche week end fa, a bordo della nuovissima Vespa946, abbiamo scoperto una Roma incantevole che spesso si nasconde allo sguardo frettoloso dei turisti e persino a quello dei romani, distratti dalla quotidianità stressante e tiranna. Oggi vi parliamo di una Roma Sparita, che neppure noi conoscevamo, scovata nel ripercorrere le tappe più belle del film Vacanze Romane.
Conoscete la storia? Anna (Audrey Hepburn) è una principessa in viaggio diplomatico in Europa e Roma è una delle tappe previste dall’itinerario. Nelle primissime scene, per raccontare il fitto carnet di appuntamenti ufficiali, vengono inquadrati San Pietro e i Fori imperiali. La giovane, stremata da tanti impegni e dalla rigidità del protocollo “di corte” è vittima di una crisi isterica e seppur sedata, fugge in stato confusionale dall’ambasciata su un furgone delle bibite. Sapete qual è l’edificio scelto per gli esterni della sede diplomatica? Palazzo Barberini, che oggi ospita la Galleria Nazionale di Arte Antica (via delle Quattro Fontane, a due passi da via Veneto)! In pochissimi sanno che questa via è un tratto dell’antica “Strada Felice”, lunga quasi tre chilometri, voluta nel 1585 da papa Sisto V (al secolo Felice Peretti) per collegare Trinità dei Monti alla Basilica di Santa Maria Maggiore e a quella di Santa Croce in Gerusalemme. Dopo il 1870 quel rettilineo venne frazionato e ciascun tratto assunse nomi diversi (via Sistina, ad esempio, è l’ultimo omaggio al papa che ne volle la realizzazione). A proposito: ma perché il papa fece costruire la Strada Felice? Per consentire ai fedeli in pellegrinaggio a Roma un migliore orientamento, collegando tra loro le principali basiliche della città!
Ma torniamo alla principessa Anna. In stato confusionale, giunge alla Fontana delle Naiadi, in Piazza della Repubblica. Autore della bella fontana fu Mario Rutelli (il bisnonno dell’ex sindaco!), che realizzò le quattro ninfe nel 1901. La nudità e la posa dellestatue scatenarono forti polemiche ma non provocarono la rimozione delle naiadi come invece accadde per la scultura centrale, oggetto di una feroce ironia.
Rutelli infatti presentò al pubblico un gruppo scultoreo comprendente tre figure maschili, un polpo e un delfino in un abbraccio poco comprensibile soprannominato subito “fritto misto di Termini” e traslato dopo varie vicissitudini in piazza Vittorio Emanuele II. In sostituzione di quello, lo scultore siciliano ne realizzò un altro (un uomo avvinghiato a un delfino) che alla fine ottenne il placet dell’amministrazione. Ma torniamo ad Anna che continua a vagare da sola nella grande città!
La ritroviamo nei pressi dell’Arco di Settimio Severo dove incontra il giornalista Joe Bradley (Gregory Peck) che non solo non la riconosce ma la scambia addirittura per un’ubriacona! Nonostante questo, intenerito dalla ragazza, la porta a casa sua, in Via Margutta 51, la famosa via degli artisti. La via ancora oggi conserva tutto il suo fascino ma purtroppo l’intero palazzo in cui venne ambientata l’abitazione dell’inviato americano necessiterebbe di un profondo e accurato restyling(tanto per non vedere le facce deluse dei turisti convinti di trovare un gioiellino come nel film…)!
Solo l’indomani Joe scopre l’identità di Anna e decide di fare lo scoop più grande della sua carriera: la seguirà nel suo giro per Roma con un fotografo alle calcagna, in modo da rubare scatti inediti della principessa! Grazie a questa passeggiata, ritroviamo una Roma in bianco e nero in qualche caso simile a quella odierna ma, molto più spesso, ormai scomparsa. Come il Muro dei Desideri (Wall of Wishes, nel film), per diversi anni meta di cinefili curiosi, che però non ne hanno trovato traccia, nelle loro peregrinazioni. Quel muro infatti, in Viale del Policlinico stava crollando sotto il peso degli ex voto incastonati attorno alla statua di una Madonnina e l’amministrazione, in vista delle imminenti Olimpiadi (1960), decise di “ripulirlo” pochi anni dopo l’uscita di Vacanze Romane.
Per salvaguardarne la memoria, però, la statuetta e qualche ex voto sono stati traslati all’interno di una cappelletta votiva, sempre nelle mura del Castro. Lo sapevate? E ora la scena più famosa del film: la scorrazzata a bordo della Vespa, tra il Colosseo, Piazza Venezia, il teatro di Marcello fino alla Bocca della Verità alle prese con i segreti inconfessabili dei protagonisti. Mentre vi rassegnate a una lunga attesa, perché sono molti i turisti che vogliono farsi fotografare con una mano tra le fauci del mascherone, potreste scoprire che se tutti sembrano conoscere la leggenda dell’amputazione della mano ai bugiardi che hanno l’ardire di infilarla nella fessura davvero pochi sono quelli che sanno che anticamente, la Bocca della Verità era un tombino fognario con fessure utili per far defluire gli scarichi cittadini nella vicina Cloaca Maxima!
Come novelli Hepburn e Peck a bordo della nostra fiammante Vespa946 bianca, abbiamo individuato tre tappe davvero significative, per la trama del film e per la nostra ri-scoperta di Roma. La prima, al Colosseo. Quello che rimane dell’imponente Anfiteatro Flavio non è che un terzo della struttura originaria. Colpa del tempo? Sì. Dei terremoti? Anche. Ma soprattutto dei “saccheggi” sistematici a cui fu sottoposto dal IX secolo in poi per costruire soprattutto i palazzi della Roma papalina tra cui, pensate un po’, Palazzo Barberini: un fil rouge continua a mantenere insieme questo racconto un po’ stravagante, non trovate?
E per non smentirci, altro anello della catena: al tramonto, giungiamo a Trinità dei Monti, non solo per godere di una delle viste più belle della capitale ma per rimetter piede sulla Strada Felice di papa Sisto V. Ricordate la strada di cui abbiamo parlato prima, quella che doveva collegare il Pincio con la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme? Ebbene, quando finalmente la chiesa della Santissima Trinità dei Monti fu consacrata, si decise di realizzare la Strada Felice ma i lavori di sbancamento abbassarono notevolmente il piano strada e di fatto ci si trovò con una chiesa… inaccessibile!
L’architetto Domenico Fontana fu costretto quindi a rimediare, progettando due scalinate convergenti verso il portale, di cui una rampa si intravede nella foto tratta dal film (non confondete queste scale con la Scalinata di Piazza di Spagna, realizzata molti anni dopo!). Altra curiosità: diverse città italiane hanno chiamato Pincio il proprio parco panoramico nel 1870, per celebrare la nomina di Roma a capitale d’Italia: ve n’è uno ad Ancona, Assisi, Bologna, Cagliari, Rieti, Urbino e in altri piccoli centri. Che straordinario senso di patria… qualche secolo fa! Un ultimo sforzo di concentrazione, il film ormai volge quasi al termine!
Scendiamo verso piazza del Popolo (godendoci una vista sulla cupola di San Pietro in lontananza lungo Viale Gabriele D’Annunzio) e ci avviamo verso una festa sul Tevere, nei pressi di Castel Sant’Angelo, il luogo dove il giornalista scoprirà di nutrire un tenero sentimento verso la ragazza tale da impedirgli di utilizzare gli scatti rubati durante le loro scorribande per Roma. Tutto accade in una notte. Tra le luci soffuse di un barcone, ecco un ballo romantico, una rissa, un tuffo nel fiume e il primo casto bacio…
A bordo della Vespa ci fermiamo davanti alla Mole Adriana (meglio conosciuta come Castel Sant’Angelo) e scopriamo che, a dispetto di quello che si crede, il castello nasce come Mausoleo. Vi sono sepolti diversi imperatori romani, da Aurelio – che l’ha fatto costruire – a Caracalla. Il riferimento all’angelo è dovuto a una leggenda: la visione dell’arcangelo Michele da parte di Papa Gregorio Magno durante una processione per la gravissima epidemia del 590. L’immagine dell’angelo che inguainava la spada venne interpretata come il miracoloso segnale della fine della peste e da allora un Angelo veglia sulla fortezza!
Il sogno dello scoop sfuma ma non importa: l’indomani, durante una conferenza stampa in cui Anna tornerà a vestire i panni della principessa, Joe le consegnerà quelle foto compromettenti e le dirà addio. La scena è stata girata nella MERAVIGLIOSA Galleria della Sala Grande di Palazzo Colonna. Se pensate che la reggia di Versailles meriti una visita, prima di andar tanto lontano, programmate una passeggiata tra le 500 stanze di quello che è giustamente definito il “gioiello del barocco romano”. Tra i saloni, le stanze, gli affreschi, le sculture, i broccati e i ricordi di una famiglia patrizia che annovera papi e condottieri valorosi (tra cui il vincitore della Battaglia di Lepanto), troverete anche una palla di cannone sparata nel 1849 dalle truppe francesi dal Gianicolo contro il Quirinale e lasciata lì dove cadde, frantumando un gradino! NON lasciate Roma senza aver visitato questa meraviglia!
Fonte sito https://www.turistadimestiere.com/
Le donne che lavorano puntano sulla sicurezza, flessibilità negli orari dei negozi, spazi ricreativi, mobilità quindi cercano soluzioni abitative che possano soddisfare queste esigenze, per quelle con figli, la mobilità è un fattore vincente
Casa dolce casa. Lo sanno bene le donne che soprattutto quando devono scegliere l’abitazione dove trasferirsi, lasciandosi alle spalle quella di mamma e papà, o solo di mamma o di papà, hanno idee ben precise. In occasione dell’ultimo forum di Scenari Immobiliari, che ha per titolo W CITY: la città delle donne, in collaborazione con il gruppo Gabetti Property Solutions, è stata realizzata un’ampia indagine a livello nazionale dal titolo W City: le donne, la loro città, la loro casa. Su un campione di donne più del 60%, dai 35 e i 54 anni, e oltre il 15% rispettivamente fra i 25 e i 34 anni e fra i 55 e i 64 anni. La struttura del nucleo famigliare racconta di una realtà sociale composita in cui le categorie classiche, single, coppia, famiglia con figli conviventi, non superano per ogni gruppo il venti per cento. Il restante 30% vive nelle città in forme di convivenza frammentate con genitori e parenti di altro grado, figli per periodi più o meno limitati dopo separazioni, convivenza con amici o altre persone con cui non si hanno particolari legami.
Vivere a Milano: perché e dove? Il capoluogo lombardo viene percepito come una città internazionale, policroma, inclusiva, sicura, comoda, operosa ed efficiente. E più di un terzo del campione ci è nato e ha deciso di rimanerci, un altro terzo si è trasferito per lavoro e dice di non avere intenzione di andare via e oltre il dieci per cento si è trasferito perché voleva vivere in questa città e ha fatto in modo di riuscirci. Nonostante passino le mode, le abitudini, gli interessi, Brera, continua a essere fra i luoghi preferiti, perché considerata elegante, nascosta, pedonale. Alla tradizione c’è chi preferisce l’innovazione e quindi sono salite nella classifica delle zone preferite City Life, perfetto connubio tra architettura, presenza umana e verde e Porta Nuova, considerata “bella e luminosa”.
Le donne che lavorano puntano sulla sicurezza, flessibilità negli orari dei negozi, spazi ricreativi, mobilità quindi cercano soluzioni abitative che possano soddisfare queste esigenze. Anche per quelle con figli, la cui difficoltà principale è quella di conciliare vita privata e lavoro, la mobilità è un fattore vincente. Come anche la vicinanza a spazi verdi e ricreativi e le preferenze variano in base alla capacità di spesa. Chi può permettersi il lusso di abitare a due passi dal centro senza rinunciare a giardini e parchi punta ad acquistare nella zona dei giardini Indro Montanelli, parco Sempione e il Castello. Chi invece ha una capacità di spesa inferiore allarga i suoi orizzonti di ricerca in zone nei pressi di spazi verdi nella fascia più periferica. Al top delle preferenze le zone del Duomo, le vie della moda e Sant’Ambrogio. E romanticamente qua e là emergono preferenze uniche e locali per case vicino a piazze, spazi, percorsi e passeggiate, conosciute fin da bambine.
Le donne che lavorano puntano sulla sicurezza, flessibilità negli orari dei negozi, spazi ricreativi, mobilità quindi cercano soluzioni abitative che possano soddisfare queste esigenze. Anche per quelle con figli, la cui difficoltà principale è quella di conciliare vita privata e lavoro, la mobilità è un fattore vincente. Come anche la vicinanza a spazi verdi e ricreativi e le preferenze variano in base alla capacità di spesa. Chi può permettersi il lusso di abitare a due passi dal centro senza rinunciare a giardini e parchi punta ad acquistare nella zona dei giardini Indro Montanelli, parco Sempione e il Castello. Chi invece ha una capacità di spesa inferiore allarga i suoi orizzonti di ricerca in zone nei pressi di spazi verdi nella fascia più periferica. Al top delle preferenze le zone del Duomo, le vie della moda e Sant’Ambrogio. E romanticamente qua e là emergono preferenze uniche e locali per case vicino a piazze, spazi, percorsi e passeggiate, conosciute fin da bambine.
Non lontano dal proprio quartiere
Il luogo in cui si vive è ritenuto dalla stragrande maggioranza molto importante e nel medio periodo l’attaccamento è rimasto invariato in ragione del fatto che la città è migliorata oltre che per motivi affettivi. La quasi totalità, oltre l’87%, ritiene il quartiere in cui vive adatto alla gestione della vita. Per questo motivo nel caso di necessità di cambiamento oltre il 35 per cento sceglierebbe lo stesso quartiere, e circa un quarto la stessa città. Solo un quinto delle intervistate è attirato dalla possibilità di poter trascorrere una parte della vita all’estero. “Ritengo adeguato il mio quartiere perché ci trovo tutto quello che voglio”: chi ha risposto lo considera ben attraversato da mezzi pubblici, il che facilita gli spostamenti casa/lavoro (circa il 90 per cento ritiene che la zona in cui abita sia bene o discretamente servita da mezzi pubblici); lo apprezza perché è vivo durante il giorno, ricco di servizi e negozi; lo valuta abbastanza sicuro la notte, grazie alla buona illuminazione con alcuni locali aperti fino notte tarda. Chi invece dà un giudizio negativo concentra la propria attenzione sul tema della sicurezza e della poca vivacità dei luoghi, di prassi periferici.
Milano alla fin fine piace perché “a Milano si trova tutto quel che serve”. Anche se non tutto è semplice, ma con una buona dose di determinazione e di volontà di partecipazione si riesce a vivere bene. Questo il parere della maggior parte delle intervistate.
Quali i must nella ricerca di una casa?
- Le donne che lavorano sono alla ricerca di sicurezza, flessibilità negli orari dei negozi, spazi ricreativi, mobilità
- Quelle che stanno a casa prediligono zone, quartieri con più luoghi di aggregazione, più attività di vicinato
- Chi ha figli punta ai servizi che permettono di conciliare vita privata e lavoro
- Per le donne più âgées fondamentali sono i servizi di assistenza domiciliare e m luoghi di aggregazione per contrastare il fenomeno della solitudineLa casa delle milanesi
La casa delle milanesi
è un appartamento in condominio vissuto solo in alcuni momenti della giornata,preferibilmente la sera visto o nel week-end, dove è anche possibile lavorare utilizzando sala, cucina o studio. Ma l’ambiente deve essere luminoso perché la luminosità è una caratteristica considerata irrinunciabile.
La luminosità è una caratteristica irrinunciabile
La casa, hanno ammesso molte di loro, rispecchia la loro personalità: mostra chi sono, come vivono, quali esperienze hanno fatto e quali sono i loro desideri. La casa è considerata un rifugio, un luogo protetto, ma c’è anche la propensione ad utilizzare quegli stessi spazi come luogo di socializzazione e di contatto con il mondo esterno come luogo di accoglienza. Oltre che il miglior investimento che si possa fare. Il 75% vive in una casa di proprietà e il 40% dice di essere riuscita a comprare casa da sola, il restante con l’aiuto di famigliari.
«Nel mio quartiere trovo tutto quello che voglio», spiega Debora, 29 anni Communication strategist presso un’importante agenzia media alla ricerca della sua prima casa nella zona di Milano Sud. «Difficile vivere ancora con i genitori e i fratelli perché gli spazi in casa soprattutto durante il lockdown sono sembrati ancora più piccoli a tutti. Ma ora ho messo il piede sull’acceleratore sul fronte delle ricerche di una casa dove andare a vivere da sola. Mi sono focalizzata su un taglio piccolo, monolocale o bilocale. Non voglio allontanarmi troppo dalla zona dove già vivo perché è ben servita dai mezzi e questo mi facilita gli spostamenti casa/lavoro. Il valore aggiunto del mio quartiere è che ricco di servizi e negozi e poi ha una buona illuminazione, una sicurezza quando lo si frequentava fino a tardi la sera. E poi nel mio quartiere ci sono nata e qui ho tutti i miei amici ai quali sono molto legata non potrei mai vivere troppo lontana da loro».
Chi invece dà un giudizio negativo concentra la propria attenzione sul tema della sicurezza e della poca vivacità dei luoghi. Ilaria, 32 anni, traduttrice presso una nota casa editrice, vive al lato opposto di Debora, a Nord di Milano, e vive già da sola, ma sta cercando un’altra casa. «La casa dove vivo», racconta, «è stata quella della fuga, quella del primo passo verso l’indipendenza. Aveva un costo molto abbordabile e non ho dovuto impegnarmi con un mutuo molto alto. Ma ora ho voglia di cambiare. E voglio avvicinarmi al centro».
Ecco in percentuale le top choices delle donne:
- Per il 45% la ricchezza di collegamenti con i mezzi pubblici quindi il fatto che la zona sia ben servita è fondamentale
- Il 43% predilige la presenza di giardini, parchi, piazze
- Il 40% ha una preferenza ad abitare nelle zone più vicine al centro
Anche la presenza di negozi di qualità, di offerte per il tempo libero, ristoranti, musei, teatri, cinema, di presidi medici, sono altri elementi presi in considerazione.
Lara, 35 anni, mamma di Stella, 3 anni e Carlotta di 5, abita a pochi passi dal Duomo e racconta: «Mi piace la mia città, ci vivo volentieri e non vorrei abitare in una città diversa, più piccola o più tranquilla. Milano mi aiuta a essere quella che sono. Mi sento sicura e posso muovermi senza problemi. Sono “vicina” a qualsiasi cosa di cui abbia bisogno, ai mezzi pubblici, all’asilo e in futuro lo sarò anche alle scuole. Non tutto è semplice, ma con una buona dose di determinazione e di volontà di partecipazione si riesce a vivere bene. Se dovessi cambiare quale luogo sceglierei? Mi piacerebbe vivere a New York, che al contrario di Milano non è certo una città a misura di persona, ma rappresenta un mio sogno».
Casa piccola, casa grande? L’importante è la distribuzione degli spazi
Piccola o grande che sia, nella scelta della casa vince la corretta distribuzione degli spazi. Il 72% delle donne intervistate per esempio ha detto di prediligere una cucina separata, preferibilmente pratica e magari anche un po’ glamour. Per oltre il 70%, una bella e ampia zona giorno rende tutti gli altri difetti della casa più accettabili, e l’aumento delle possibilità di convivialità è al centro dei desideri. Tra gli spazi che le donne (70%) ritengono necessari i balconi e i terrazzi, box o posto auto (52%), cucina (46%) e il ripostiglio (48%) ma se a quest’ultimo si aggiunge il locale lavanderia/stireria la percentuale si alza fino a superare il 75% delle preferenze. Nonostante l’attività sportiva sia praticata da oltre la metà delle intervistate la maggioranza di queste ha detto di non essere interessata ad avere nella propria casa un locale da dedicare allo sport.
Con 100.000 euro a propria disposizione…
Alla domanda “Immagina di avere a disposizione 100.000 euro da utilizzare per la tua casa. In quali modi preferiresti utilizzare questa somma?” C’è chi ha risposto senza esitazioni dicendo di voler restare nella stessa zona ed essere disposta ad allontanarsi solo nell’ipotesi di migliorare i propri standard di sicurezza o per avvicinarsi al centro. Mentre la casa in affitto è stata presa in considerazione solo da circa la metà delle intervistate. L’innovazione tecnologica viene interpretata nell’ottica di strumento per un miglioramento del grado di sicurezza, anche se a scapito di un percepito aumento dello stress e di un rischio privacy.
«Gli appartamenti più gettonati dalle donne sono i ‘piccoli tagli’ se parliamo del centro città, solitamente ampi bilocali preferibilmente ristrutturati con balcone in stabili d’epoca che richiamano le caratteristiche della vecchia Milano. Spostandoci invece in periferia le preferenze si spostano anche su ville singole o ville a schiera, dove c’è possibilità di avere un giardino e maggior privacy», dice Raffaele Bisceglia, broker RE/MAX Class a Milano e provincia. «La fascia di prezzo sulla quale si basano? Il 25% dal 100.001 ai 200.000 euro e il 60% è disposta a spendere oltre 200.000 euro. Cercano soluzioni anche piccole, ma con spazi esterni vivibili. La quasi totalità cerca immobili con una zona da dedicare al lavoro (piccoli locali da adibire a studio) la richiesta in città non é calata, ma molte (dopo il lockdown, Ndr) valutano soluzioni nell’hinterland pur di avere qualche metro in più e una zona esterna comoda».
«Milano si è rivalutata moltissimo soprattutto dopo l’EXPO e da quando ha iniziato ad affermarsi come meta turistica», spiega Beatrice Zanolini, Direttore (Dir.) FIMAA MiLoMB e AD FIMAA Milano Servizi srl, Consigliere (Cons.) CCIAA MiMBLo oltre che Presidente Comitato (Pres. Com.) Tecnico Scientifico di MeglioMilano, Consigliere (Cons.) Fondazione Welfare Ambrosiano. «Ci sono donne che sono diventate piccole imprenditrici negli short rent, (pre-pandemia Ndr) occupandosi anche dei servizi di accoglienza e assistenza agli ospiti. Così come sono nate figure specializzate nella ricerca degli immobili da destinare a questo tipo di investimenti: molte agenti immobiliari donne sono emerse nell’ambito del property finding, mettendo a disposizione degli investitori, oltre alla preparazione professionale tecnica, la loro capacità di comprendere i desideri del cliente e di conciliarli con i desideri dei possibili fruitori.
Le case preferite dalle donne”, prosegue Zanolini, “sono quelle pratiche, non si può fare una suddivisione netta tra loft o villette o appartamenti tradizionali, ma piuttosto tra corrispondenza spazi/esigenze. Difficilmente una donna con figli può privilegiare un loft che ha grandi spazi condivisi. Le donne amano meno le case su più livelli, affascinanti ma oggettivamente meno pratiche; sono disposte ad adattarsi a una camera più piccola per lasciare maggiori spazi di gioco per i bambini, ricercano spesso il terrazzo ma, in assenza di questo, non possono fare facilmente a meno del balcone, pensano alle armadiature e allo spazio cucina / living come ad elementi essenziali. Non amano gli immobili isolati, cercano quartieri e contesti ben abitati, per questioni di sicurezza e in questo emerge in modo particolare la loro sensibilità».
«Milano sappiamo che è la città che sta resistendo meglio a questa fase di mercato ed è quella che, negli anni, ha offerto una rivalutazione eccellente: dal 1998 infatti il valore degli immobili si è praticamente raddoppiato», spiega Fabiana Megliola, Responsabile dell’Ufficio Studi di Tecnocasa. «In città, nel Duemila, il 36,4% è stato portato a termine da donne. Abbiamo notato una particolare concentrazione di presenza femminile in alcuni quartieri semiperiferici, a ovest della città come San Siro, Espinasse, Cenisio, Baggio). La spiegazione potrebbe essere la presenza di 2 linee della metropolitana (lilla e rossa) dal momento che una delle variabili particolarmente ponderata nella scelta della casa al femminile è il collegamento con il posto di lavoro o con l’università quando ad acquistare sono studentesse aiutate dalla famiglia. E poi anche nei quartieri che ospitano strutture ospedaliere e ciò potrebbe essere giustificato dal fatto che è aumentata la percentuale di presenza femminile nelle strutture sanitarie. Nel 2020», prosegue Megliola, «le compravendite immobiliari residenziali sono state così ripartite: 32,8% realizzate da coppie, 28,2% realizzate da donne e 39,0% da uomini.
Limitandoci ad analizzare solo l’universo femminile si scopre che il 14,7% di esse ha scelto le soluzioni indipendenti e semindipendenti, con un leggero aumento rispetto ad un anno fa. Sicuramente a causa della pandemia e del lockdown che ha portato a scegliere questo tipo abitazione». Tra queste specifiche tipologie qual è stata la preferita? «Al primo posto si piazza la casa indipendente scelta dal 23,7% delle donne, seguita da quella semindipendente (17,8%) e dalle ville singole (15,7%). Rispetto ad un anno fa le percentuali non hanno subito importanti variazioni su queste soluzioni ma è interessante l’incremento dell’1,1% di compravendite di rustici che raccolgono il 6,3% degli acquisti e l’aumento dello 0,9% di case semindipendenti».
Le stanze che contano
Il 72% possiede una cucina separata. Il 60 per cento ha un aiuto domestico e con la presenza dell’aiuto domestico diminuisce l’utilizzo del food delivery, complessivamente poco apprezzato. Le milanesi cucinano, raramente a pranzo, molto spesso la sera, quasi sempre nei fine settimana
«Generalmente le donne sono più sensibili alla sfera delle emozioni», racconta Italo Pasquini, consulente immobiliare della Grimaldi, «e di prassi fanno molta attenzione alla luce, chiedono che tipo di esposizione ha una casa con preferenza per quelle con un’esposizione a sud. Poi sicuramente rispetto a prima c’è più attenzione ai bagni rispetto che alle cucine, perché le donne milanesi fondamentalmente hanno meno tempo di stare in cucina e quindi di cucinare. E i bagni si sono trasformati in un luogo dove prendersi cura di sé una sorta di mini-SPA. E poi le donne ora hanno un debole per le camere corredate di cabina armadio, anche da replicare. Anche la zona lavanderia, dopo il primo lockdown, è diventata un must. E viene richiesta abbastanza grande per ospitare preferibilmente sia la lavatrice sia l’asciugatrice. Quando le donne visitano per la prima volta una casa sono molto più analitiche degli uomini, che di prassi fanno più attenzione alla zona living e non si concentrano su altri particolari, box a parte»
La casa da nord a sud, passando per il centro Italia
Genova: the best places? Gli attici sul lungomare
«A Genova le tipologie di immobili preferite dalle donne sono gli attici con ampio spazio esterno, nei quartieri in prossimità del lungomare», spiega Bruno Fraternale, Owner Broker RE/MAX Specialisti Immobiliari Genova, in Liguria.
Torino: occorre migliorare i trasporti e aumentare i parcheggi
Città operaia, terra di immigrazione, Torino fatica oggi a trattenere chi l’ha scelta in passato. Lo stile immutato e fiero, che caratterizza il forte senso di identità e appartenenza, la fa apprezzare da chi ci è nato e oggi continua a viverci e ne ama i luoghi classici e i servizi offerti. Al contempo però, questa condizione di immobilismo, che fatica a sostenere il contemporaneo stile di vita delle donne, spinge a considerare altri luoghi. Quali le pecche? Le donne torinesi che lavorano desiderano un sistema di trasporti più frequente anche verso i comuni limitrofi. Mentre alle donne che stanno a casa servono più servizi. Alle donne con figli interessano più aree dedicate ai bambini mentre le donne sole cercano, oltre alla sicurezza, attività che favoriscano l’aggregazione.
Le torinesi ritengono che il quartiere in cui vivono sia adeguato, soprattutto nei casi in cui si trova nei pressi di una zona centrale o semicentrale con una massiccia presenza di servizi e esercizi commerciali. Infatti oltre il 75% del campione ritiene il quartiere in cui vive sia adatto alla gestione della vita. Meno del 10%, però, avendo l’opportunità di spostarsi, sceglierebbe il medesimo quartiere, mentre il 30% potendo cambiare, sceglierebbe un altro rione (restando in Italia, Ndr) e circa il 40 per cento andrebbe a vivere all’estero, a Parigi o New York. Per le intervistate la smart city si identifica con un sensibile miglioramento in termini di parcheggi e servizi di mobilità condivisa e attenzione alle forme di energia rinnovabile. A Torino, gli edifici e i luoghi che vengono indicati come i preferiti sono quelli classici: il centro storico (Piazza San Carlo, la Mole Antonelliana), le rive del Po e la collina. Sul fronte spazi il desiderio è quello di avere una casa più spaziosa e funzionale, tra i possibili comfort nessuna ha espresso il piacere di avere uno spazio da dedicare all’attività sportiva. La casa ideale? Una casa storica, d’epoca (circa il 30% del campione).
Toscana: prediletto lo stile family city
«Cosa vogliono le donne? Case con giardino, dove spesso immaginano di crescere i propri figli ville villette e piani terra sono i più apprezzati sicuramente”, spiega Nicole Patricia Di Gaetano, broker titolare di RE/MAX Quality House a Viareggio (Lucca).
Roma amore contrastato
Il legame fra lo spazio urbano e la donna a Roma è fatto di luci ma anche di molte ombre. Le romane evidenziano le difficoltà del vivere quotidiano e restituiscono quindi il ritratto di una capitale bellissima, però poco attenta alle tematiche femminili. I problemi che la città non riesce a risolvere vengono mitigati all’interno delle mura domestiche. I problemi che la città non riesce a risolvere vengono mitigati all’interno delle mura domestiche
Le romane rivelano infatti un atteggiamento più tradizionale nei confronti dell’abitazione, con una scarsa propensione a spostamenti e con la tendenza a prediligere lo stesso quartiere in caso di trasferimento. Oltre il 90% vive in zone centrali o semicentrali della Capitale. Circa il 70% del campione vive a Roma perché ci è nato e ha deciso di rimanerci, mentre il restante 30% si è trasferito per lavoro e non rileva motivi particolari per allontanarsene. Fra i luoghi iconici della città che continuano a mantenere il loro indiscusso appeal: il centro storico nella sua interezza, il Colosseo, l’Aventino, Villa Borghese e i parchi in generale. Pur mantenendo intatto il fascino di città eterna e internazionale, unica al mondo per la bellezza del suo patrimonio storico e architettonico, Roma non risulta rispondente alle imprescindibili esigenze di sicurezza nella gestione del vivere quotidiano, sempre più dinamico e flessibile per abitudini e modalità di svolgimento del tempo libero e delle attività lavorative. Oltre il 40% del campione ritiene la città non adeguata alla vita femminile, di parere opposto circa il 17%; il 43% la considera mediamente adatta alle esigenze contemporanee. Complessivamente il valore attribuito al luogo in cui si vivono però è alto: un terzo delle intervistate lo ritiene in cima alle loro priorità, i restanti due terzi lo reputa “importante”. Quasi la metà del campione ritiene che nel corso degli ultimi tre anni questo apprezzamento sia fortemente diminuito in funzione delle crescenti problematiche legate alla gestione e al decoro urbano. Nell’eventualità di un cambiamento, circa la metà del campione ha detto che non andrebbe via da Roma: il 30% sceglierebbe lo stesso quartiere; il 12,5% gradirebbe cambiare quartiere; ma un terzo del campione è attirato dalla possibilità di poter trascorrere una parte della vita all’estero.
Sul fronte spazi interni per le donne romane (oltre il 40%) la zona giorno è considerata fondamentale per definire la piacevolezza della vita nell’ambiente domestico e in alcuni casi (un terzo del campione) risulta importante anche la presenza di uno studio annesso.
«Le donne single fino ai 35 anni», dice Alfredo Casarelli, broker RE/MAX Key House a Roma, «preferiscono la locazione nella prima periferia, con preferenza per il canone concordato della durata di 3 anni fino a 6 rinnovabili per altri 2 anni, possibilmente vicino a spazi versi, vicino ai mezzi pubblici e in un condominio che possa garantire loro sicurezza. Le soluzioni isolate vengono di prassi scartate. Questo in generale indipendentemente dalla fascia di età. Oltre i 35 anni prediligono l’acquisto con le stesse modalità. Superati i 60 si spostano in abitazioni nelle immediate vicinanze delle case dei figli».
Sicilia, ricercati grandi saloni od open space spazio/studio lavoro
«Gli appartamenti devono avere i giusti spazi per soddisfare le esigenze della famiglia, grandi saloni od open space spazio/studio lavoro sono sempre più ricercati. Le soluzioni immobiliari che le donne prediligono sono ville o comunque case indipendenti, proprio per la possibilità di avere ampi spazi esterni di cui poter godere», spiegano Andrea Russo e Georgina Ramos, broker di RE/MAX Prima Classe a Modica in Sicilia.
Puglia, il sogno è l’attico sul mare oppure il trullo come seconda casa
«Per le donne le tipologie con maggiore appeal, come ho già detto, sono gli appartamenti di taglio medio piccolo come i bivani ed i trivani oppure come seconda cosa il trullo o un piccolo attico con terrazzo sul mare, se parliamo di ville solo unità piccole con un fazzoletto di giardino», conclude Francesco Gervasi, broker RE/MAX Acquachiara di Bari.
Una stanza tutta per sé ovvero come abbiamo riscritto il concetto di (stare a) casa dopo il lockdown
Il lungo periodo di quarantena ha fatto emergere nuove esigenze dell’abitare (e del co-abitare).
E secondo gli esperti, la parola chiave del futuro sarà una: privacy
Abito. Abitudine. Abitare. Tre parole del nostro linguaggio quotidiano la cui affinità non è solo etimologica ma anche sentimentale. Evocano, infatti, il sentimento della familiarità. Perché abitare significa questo: acquisire delle abitudini in un luogo, noto e che ci appartiene, in cui possiamo sentirci sicuri e a nostro agio. Come quando indossiamo i nostri jeans preferiti. «Ognuno di noi costruisce una routine dentro il proprio spazio abitativo: siamo programmati per farlo perché ci protegge dall’ansia di ciò che non conosciamo e ci fa risparmiare energie mentali che possiamo dedicare ad altro», spiega la psicologa Alessandra Micalizzi, autrice con Tommaso Filighera di Psicologia dell’abitare (FrancoAngeli).
Casa come luogo della sicurezza. E dell’intimità. «Se immaginiamo la società come una specie di palcoscenico, sul quale indossiamo le maschere dei nostri ruoli e recitiamo tutto il giorno – attività che risulta parecchio stressante – appare chiaro perché, quando arriva la sera, proviamo forte l’esigenza di tornare in uno spazio intimo dove toglierci la maschera, metterci comodi, essere noi stessi», spiega l’antropologo Francesco Remotti (l’ultimo suo libro: Somiglianze, Laterza). «L’abitazione è molto importante per la costruzione di sé: è il luogo nel quale ci esprimiamo attraverso la musica che ascoltiamo, i quadri che appendiamo, i libri che leggiamo».
Negli ultimi mesi, però, qualcosa è cambiato. E tutte le teorie sulla casa e l’abitare sono state messe in discussione. Prendiamo l’intimità: solitamente diamo a questa parola una connotazione positiva, ma durante il lockdown, costretti h24 in un appartamento con marito/moglie/figli, ci siamo ricordati che può anche essere una gabbia e generare stress e rancore. «Non a caso gli esseri umani hanno imparato che nella vita è necessario un giusto equilibrio tra intimità e socialità», chiosa Remotti.
I luoghi della memoria
La socialità, a dire il vero, non è mancata del tutto: ha solo cambiato modalità. Per accogliere gli amici, al posto di aprire la porta abbiamo acceso il computer. Nello stesso modo abbiamo dato il benvenuto ai colleghi, ai compagni di scuola e ai professori dei nostri figli. Generando quello che Alessandra Micalizzi chiama “nomadismo parossistico”. «La caratteristica delle popolazioni nomadi è di concentrare l’abitare in poco spazio, al fine di portare la casa per il mondo. Noi abbiamo fatto l’opposto: ci siamo portati il mondo in casa. E, come i nomadi, anche noi abbiamo dovuto ridurre tutto all’essenziale: il rumore, lo spazio, le attività. I diversi mondi che frequentiamo – noi e coloro con cui viviamo – hanno iniziato a convergere dentro le abitazioni incontrandosi, sovrapponendosi. Una gestione complessa dal punto di vista emotivo e pratico, che ha richiesto negoziazione e ridimensionamento. Il bene “immobile” per eccellenza è stato costretto a una mobilità in cui la cucina diventava studio per i compiti dei figli, mentre la camera da letto si trasformava in ufficio per le riunioni su Google Meet», conclude Micalizzi.
Attraverso le videocamere dei nostri computer ci siamo anche esposti, svelati. E la privacy? «Non c’è dubbio: è uno dei grandi temi emersi in questi mesi e influenzerà il modo di progettare le abitazioni in futuro», spiega Stefano Follesa, architetto, docente di Interior design all’università di Firenze e curatore del volume Sull’abitare (FrancoAngeli). «Negli ultimi decenni abbiamo messo in discussione la teoria delle stanze: il corridoio che un tempo garantiva l’accesso ai vari ambienti è scomparso, sostituito da spazi unici e flessibili come i living, da trasformare a seconda delle necessità e degli orari, con l’aiuto di arredi multifunzionali. Durante il lockdown ci siamo resi conto, però, che un salone da condividere può non essere pratico».
È probabile, dunque, che rivaluteremo le stanze: ma per rispondere alle nuove esigenze abitative non sarà sempre necessario costruire muri. Il designer Gianni Veneziano e la moglie Luciana di Virgilio, partner nello studio Veneziano+Team, avevano anticipato i tempi presentando al Salone del mobile 2019 un’installazione dal titolo Words, che ruotava intorno al concetto di abitazione come “cellula di resistenza” rispetto a quanto avviene fuori. Un’idea quasi premonitrice.
«Immaginiamo una casa che si basi sull’alternanza di due concetti: memoria e innovazione. Per cominciare, niente pezzi di design scelti esclusivamente perché di moda. Meglio una lampada appartenuta al papà, la poltroncina della zia, libri che custodiscono vecchie lettere d’amore. Insomma, frammenti della nostra esistenza e della memoria. Da far convivere con soluzioni innovative come la creazione, per ciascun membro della famiglia, di un angolo-rifugio dove sedersi a pensare, leggere, dedicarsi al proprio hobby, lavorare al pc», spiega Gianni Veneziano. «Può trattarsi di uno spazio vicino alla libreria, magari riempita non solo di libri ma anche di disegni, fotografie, ricordi. O di un angolo di un paio di metri quadri da svuotare completamente e arredare con qualche grande pianta “effetto serra”, una poltroncina, un tavolino e una lampada. Luoghi che gli altri membri della famiglia riconoscano come “privati”; ma che chi li vive possa scegliere di rendere pubblici, per esempio durante le videochiamate con i colleghi».
In una nuova concezione dello spazio domestico post-Covid 19 un revival potrebbe avere anche l’ingresso. «È l’ambiente che rappresenta la prima impressione che si ha di una casa quando si entra e l’ultima quando si esce», continua Follesa. «Ed è il luogo in cui riponiamo abiti e oggetti che ci servono per uscire. In futuro avremo l’esigenza di tenervi armadietti nei quali riporre le scarpe e alcuni oggetti legati all’igiene. Spesso si affaccia sul living: ma ora che abbiamo imparato che dobbiamo proteggerci da ciò che arriva dall’esterno, ripristinare un filtro sarà importante».
La riscoperta dei rituali
Casa-rifugio, dunque. Ma anche luogo di riti: come fare il pane. «La riscoperta dei rituali è un altro dei temi importanti emersi in questo periodo», spiega Follesa. «La nostra vita ne prevede di individuali e semplici, come lavarci il viso al mattino; e di collettivi e familiari, come il pranzo di Natale. La fretta con cui c’eravamo abituati a vivere non ce ne consentiva molti di più. Durante il lockdown, però, abbiamo avuto l’opportunità di riscoprire il valore del tempo, da riempire con rituali domestici come fare il pane». Secondo Alessandra Micalizzi, il fatto che in molti abbiano scelto di tornare a “mettere le mani in pasta” non è casuale. «È emerso un bisogno di tornare all’essenziale: impastando ingredienti semplici come acqua e farina si è voluto volgere uno sguardo al passato, fermarsi, fare un respiro, riscoprire la piccola comunità della casa, che però si collega a una più grande, attraverso le ricette della nonna o quelle della tradizione».
Anche questa nuova abitudine acquisita potrebbe suggerire un cambiamento nel modo di distribuire gli spazi domestici? «Partendo dalla nostra esperienza familiare penso di sì», risponde Veneziano. «In questo periodo mi sono potuto concedere il lusso di cucinare due volte al giorno. Questo mi ha portato a riflettere sulla cucina di casa nostra che, sebbene si possa “chiudere”, è affacciata sull’area living. Ecco, forse in futuro potrebbe essere più funzionale uno spazio chiuso con delle porte, da poter totalmente “isolare” tra un pasto e l’altro se non si ha il tempo per occuparsene», suggerisce Veneziano.
Uno sguardo all’esterno
Anche il rapporto tra spazio interno ed esterno è emerso prepotentemente, in questo periodo: avere un terrazzo o un piccolo giardino ha costituito la salvezza per molti, specialmente per le famiglie con bambini. E la riscoperta di ogni spazio non costretto tra quattro mura è andata di pari passo con il bisogno di trovare un nuovo modo per comunicare con il mondo, in particolare con i vicini di casa, che sono stata un’altra scoperta di questo periodo. «Si è avviata una risemantizzazione degli spazi di confine come i terrazzi e le finestre, diventati preziosi per creare un contatto distanziato e sicuro. I balconi, in particolare, si sono colorati di messaggi di solidarietà, sono stati resi abitabili, sono stati vissuti con applausi, canti. È stato un modo per dire: siamo distanti, ma uniti», dice Micalizzi. E abbiamo anche ricominciato a occupare i cortili condominiali, attività che era passata di moda. Proprio come fare il pane.
In casa, ma in compagnia
Non è possibile, viene però da domandarsi, che dopo mesi di clausura si finisca per provare antipatia per la casa, cercando di starvi il più possibile lontani? «No, penso che i cambiamenti avvenuti in questi mesi si trasformeranno in tendenze di lungo periodo: sia perché ci è chiaro che ciò che è accaduto potrebbe succedere ancora; sia perché alcune scoperte che abbiamo fatto si sono rivelate piacevoli e vorremo mantenerle», riflette Follesa. «In Italia abbiamo una tradizionale propensione all’incontro negli spazi urbani, dalle piazze ai bar, ai ristoranti. Ma credo che cambieremo il nostro lifestyle e cominceremo, gradualmente, a rivalutare la casa come luogo della socialità. Forse in una prima fase inviteremo solo gli altri membri della famiglia. Poi, man mano, apriremo le porte agli amici più fidati, fino ad arrivare a includere una socialità più ampia. Il che, da un punto di vista progettuale, vorrà dire ripensare arredi e spazi tenendo anche conto delle esigenze di una nuova prossemica. Infine, non dimentichiamo che molti rapporti in questo periodo si sono sviluppati in rete: e io non credo che questa modalità, che si esperisce in casa, verrà abbandonata del tutto». Le sfide sono tante, dunque. E saranno da accogliere come occasioni preziose: di riflessione, evoluzione, cambiamento.
fonte sito elle.com
Il cancello si schiude sui primi tornanti del Gianicolo: serve a tenere lontana la città dei rumori, del traffico e degli affanni. E spalanca un mondo ovattato, fatto di siepi e silenzi, di profumi e attenzioni. Parla la storia, per questo versante di un colle che si affianca agli altri sette, che ha San Pietro alle spalle e la città eterna distesa lì sotto, proprio dove scorre il Tevere. Parla la Storia perché qui aveva deciso di vivere Agrippina, la mamma di Nerone: qui si era fatta costruire una villa, dove si rilassava guardando il fiume e godendosi un panorama già allora fantastico, senza bisogno di alcun rogo aggiuntivo. Sulle rovine di quella villa sorse poi un convento, ora trasformato in vero resort di città, in pieno centro storico. E Agrippina non è affatto sparita dalla nuova destinazione turistica dell’edificio, diventato Gran Melià Villa Agrippina: il suo volto arcigno troneggia nella hall di questo 5 stelle lusso della catena spagnola.
E’ un gran posto, dove perfino i romani potrebbero venire per
concedersi un weekend nella propria città, che non sarebbe un regalo da poco. E magari l’inizio di una nuova moda. Perché questo è uno splendido luogo di fuga, dove si rimettono in sesto i pezzi della vita, sgangherati da un mondo che li ammacca. Basterebbe non far niente, godersi panorama e quiete, oppure concedersi quei trattamenti che il beauty center propone. Quello a cui non si può rinunciare sono le tentazioni del ristorante, il «Viva Voce». A governare fornelli e tavoli c’ è il Don Alfonso di Sant’ Agata ai Due Golfi, interprete di una cucina che presenta piatti ispirati alla gastronomia mediterranea. «Le preparazioni di Alfonso e Ernesto Iaccarino nascono dalla combinazione di semplicità, tradizione e innovazione – spiega Francesco Ascani, general manager del Gran Melià – Sono queste le chiavi della filosofia di Iaccarino che mira a celebrare il sapore e il profumo della natura con ogni piatto. Grazie alla varietà della nostra offerta, da quella gastronomica al benessere, senza tralasciare la location, i giardini, la piscina, puntiamo a diventare il nuovo punto d’ incontro in città».
Ci sono riusciti, in poco tempo. Facendo attenzione ai dettagli. Quando si entra, il personale addetto all’ingresso sorride e saluta, ma mette anche una mano sul cuore. Che sarà pure prescritto dal manuale, ma fa piacere. Uno dei piccoli tesori del Gran Melia.
fonte web www.corradoruggeri.it
Le immagini realizzate dal fotografo Rodrigo Pais restituiscono con stile diretto e pragmatico, caratteristico del fotocronista, l’identità profonda della città di Roma e della sua periferia, con la stessa intensità d’immagini fotografiche di grandi autori come: William Klein per il progetto sulle strade della città natale “New York 1954-1955”, Bruce Davidson in “East 100th Street”serie del 1966-1968 che racconta la realtà di un caseggiato dell’East Harlem conosciuto per il suo degrado abitativo, Garry Winogrand e la sua fotografia di strada tra New York e Los Angeles, le riprese delle vie deserte di Eugène Atget e l’umanità di Robert Doisneau per la città e i sobborghi di Parigi, e naturalmente Vivian Mayer per la brulicante Chicago. Della capitale italiana Pais non testimonia soltanto un periodo storico dal punto di vista dello sviluppo urbano o storico-politico ma ne entra nelle trame più sottili. La sua fotografia, sociale e documentaria, in diverse occasioni di denuncia, è rappresentazione di una realtà cruda e diretta che restituisce all’osservatore l’identità di una città che si trova nei volti della gente, nei luoghi e nei paesaggi in cui abitano. L’approccio documentarista e l’uso agevole della piccola Leica o della Rolleiflex, comportano un grado elevato di coinvolgimento dei soggetti che permette al fotografo di catturare ciò che si dipana in strada tra eventi epocali ed altri apparentemente insignificanti. La prolifica raccolta documentale prodotta con dovizia e professionalità, composta da quasi 380.000 fototipi di valore storico imprescindibile ma anche di grande valore artistico, è la testimonianza storica, culturale e sociale di una grande metropoli ma altresì della quotidianità che senza l’obiettivo fotografico e la sensibilità di Pais sarebbe perduta. La mostra è organizzata in tre sezioni. La prima, affidata all’architetto Stefano D’Amico, ricostruisce lo sviluppo edilizio pubblico e privato della città dagli anni ‘50 fino agli anni ‘90 del secolo scorso. La seconda, affidata al professor Francesco Sirleto, illustra le lotte per il diritto alla casa partendo dalle prime manifestazioni spontanee fino ai movimenti più consapevoli e organizzati da enti come il Sunia. La terza affidata al sociologo Franco Ferrarotti che fin dagli anni ‘70 si è occupato delle periferie di Roma e, in particolare, delle condizioni di vita dei baraccati.
fonte web gazzetta regionale 21/12/2016
Museo di Roma in Trastevere Piazza S. Egidio prorogata al 15 gennaio 2017, da martedì a domenica ore 10.00 – 20.00 (chiuso il lunedi)
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”
A scrivere queste parole è stato il pittore Giuseppe Zigaina, il grande amico di Pier Paolo Pasolini, colui che prese la “barca” e che amava il mare, quel mare che Pasolini amava solo quando stava con lui sull’ Edipo Re.
Sibylle Righetti racconta ai nostri microfoni come assieme al padre ha acquistato “la barca degli ultimi” di Zigania e Pasolini. “Mi affascinò pensare che Maria Callas s’innamorò perdutamente dell’Edipo Re, passando così dal Cristina, che era lo Yacth di Onassis simbolo del successo della ricchezza e del privilegio dei vincenti, all’Edipo Re simbolo della bellezza dei perdenti, e metafora della colpa, del legno storto che tutti portiamo dentro e della diversità che riconosciuta ci permette di amare noi stessi come il nostro prossimo”.
Continua Sibylle Righetti: “Questo legno storto ha catturate mio padre, io non volevo saperne, mi sembrava una follia, non siamo ricchi. Solo dopo che ho avuto mia figlia, lavorandoci sopra ogni minuto libero e imparando a conoscerla, ho capito tutto… in quella barca ho visto il mio di sogno ed eccoci qua. Ma come tutti i sogni la condivisione rende tutto reale e senza Enrico Vianello Vanni e molti altri membri dell’associazione Edipo re come Andreina Mezzacapo Vincenzo Lazzaro Luca Muffato e senza Stefano Costantini di Marina Fiorita, senza tutti i veneziani- che chi con una birra, chi portando il proprio sapere- ci hanno reso più facile e raggiungibile la meta. Il progetto è stato realizzato dallo studio On Lab, ragazzi giovani con una enorme passione per il loro lavoro”.
L’Edipo Re è una barca di 16 metri a vela e motore, attrezzata per essere una casa viaggiante. Grazie alla famiglia Righetti ora è restaurata e bellissima. E’un luogo dove molti artisti del 900 si sono ritrovati come Moravia, la Morante e la Divina Maria Callas che abitò durante la lavorazione del film Medea.
Sibylle Righetti, giovane regista del documentario su Vasco Rossi “Questa storia qua” è la figlia di Angelo Righetti, direttore sanitario del Centro Don Orione di Chirignago. Padre e figlia oggi sono proprietari dell’Edipo Re che viene messa a disposizione dei ragazzi del cento per attività ed escursioni nella laguna veneziana. Ha tenuto dunque l’anima che incarnava ai tempi di Pasolini.
A Venezia viene proiettato il documentario “L’Isola di Meda”, che racconta il backstage del film con Maria Callas. Il film, prodotto da Lagunafest con Karel a cura del filmmaker Sergio Naitza, ricostruisce il rapporto davvero speciale che si era stretto fra Pasolini e la Divina in occasione del set. Tante le testimonianze raccolte con l’aiuto di: Dacia Maraini, Piera Degli Esposti, Ninetto Davoli e di altri protagonisti. Girata a Grado (Gorizia) nelle scorse settimane e a bordo dell’imbarcazione, L’isola di Medea è affidato alla voce guida di Ninetto Davoli.
“Il 2 settembre- racconta Sibylle- il rettore di Padova e il prof Salvatore Sorsi insieme a mio padre Angelo Righetti e con tutti i ragazzi del Don Orione di Chirignago lanceremo il manifesto sull’inclusione”.
Non solo, la barca sarà anche un piccolo “mercato a cielo aperto”. Ogni sera allora si troveranno i i rappresentati delle fattorie sociali facenti parte della cooperative sociali della zona che parleranno del loro lavoro” una delle più famose presenti è il consorzio Nco “ facciamo il pacco alla camorra”.
fonte web 31 agosto 2016 giornaledellospettacolo.globalist.it
“Tutte le strade portano a Roma” è solo un proverbio? Sembra proprio di no. Lo dice una mappa creata dai designer Benedikt Groß, Phillip Schmitt e Raphael Reimann, che hanno cercato di dare una risposta al famoso detto associato alla potenza delle infrastrutture dell’Impero Romano.
Moovel Lab è un gruppo di ricerca – con sede a Stoccarda, in Germania – che si occupa di studiare, con dati e algoritmi, la mobilità e i trasporti: fa parte di Moovel, la società che mette a disposizione il software sfruttato per esempio da Car2Go. In uno studio pubblicato il 9 dicembre Moovel Lab ha provato a rispondere alla domanda: “Tutte le strade portano a Roma?”. Sul sito del progetto è spiegato che la domanda – una sorta di modo di dire, derivato dai tempi in cui Roma era capitale di un impero – tormentava da un po’ di tempo Benedikt Groß, uno dei membri di Movel Lab, specializzato in scienza computazionale, quella cosa con cui si cerca – in estrema sintesi – di usare la potenza di calcolo ed elaborazione dei computer per rispondere a domande altrimenti impossibili. Groß non è riuscito a rispondere con un “sì” o un “no” alla domanda su Roma. Sfruttando software di calcolo, mappe e programmi di elaborazione grafica è però riuscito a visualizzare tutte le principali strade che da circa 500mila punti di partenza in Europa portano a Roma.
È risaputo che una delle più grande opere realizzate dai Romani è il loro eccellente sistema viario, essenziale per la crescita e lo sviluppo dell’Impero. Lo stesso Strabone nella sua Geografia scrisse: “I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che dai Greci furono trascurate, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache”. Solo in Italia i Romani realizzarono più di 80000 chilometri di strade che da Roma conducevano verso tutti gli altri principali luoghi del paese fino alle più importanti province dell’Impero. Da Roma verso l’Italia, dalla Mesopotamia alla Britannia fino alle famose Colonne d’Ercole, nel Foro Romano si trovavano addirittura delle mappe generali che riportavano i diversi percorsi delle vie consolari, utili da itinerario per i viaggiatori in movimento lungo l’Impero: questo a dimostrazione di quanto i Romani dessero importanza alla propria rete viaria, sicuramente una delle opere più riuscite dell’antichità. Ed è proprio a celebrazione dell’ingegno urbanistico dei Romani e della centralità di Roma all’interno dell’Impero Romani che col si è diffuso il famoso proverbio popolare “Tutte le strade portano a Roma”
C’è un detto che tutte le strade portano a Roma. Siamo partiti per 3.375.746 viaggi per verificare se fosse vero.
La prima domanda che ci siamo chiesti è stata: da dove cominciare quando si vuole conoscere ogni strada che porta a Roma? Abbiamo allineato i punti di partenza in una griglia di 26.503.452 km² che coprono tutta l’Europa. Ogni cellula di questa griglia contiene il punto di partenza per uno dei nostri viaggi a Roma. Ottenuti i nostri 486.713 punti di partenza…abbiamo creato un algoritmo che calcola una rotta per ogni viaggio.
Tutte le strade portano a Roma! È possibile raggiungere la città eterna su quasi 500.000 rotte da tutto il continente.
fonte web fanpage.it di Clara Salzano
Prima supporto per la navigazione, poi abbandonati, oggi diventano strutture ricettive, rifugi e centri di ricerca
Costruiti in passato per orientare la navigazione, i fari si stanno trasformando in strutture ricettive, mettendo alla portata di tutti il loro fascino misterioso.
Non avendo più una funzione di supporto al traffico marittimo, perché sostituiti dai segnali radio e GPS, i fari sono stati abbandonati, ma stanno risorgendo a nuova vita grazie al loro potenziale turistico. Si trovano infatti in zone costiere suggestive, che li rendono un luogo ideale per il tempo libero e progetti di ricerca.
Il riutilizzo dei fari è diventato un business, ma anche un modo per rendere fruibile e riqualificare il patrimonio costiero. Ne è un esempio il bando progetto Valore Paese – FARI dell’Agenzia del Demanio per la riqualificazione e gestione fino a 50 anni degli edifici costieri.
Di seguito i primi nove progetti vincitori.
Punta Cavazzi, Ustica
Il progetto della Sabir Immobiliare srl prevede la creazione di una foresteria e un hub culturale per studenti e giovani ricercatori appassionati al tema del mare.
Capo Grosso, Isola di Levanzo – Favignana
Il progetto di Lorenzo Malafarina prevede un resort in cui ospitare workshop di cucina, fotografia, eventi, escursioni e attività legate alla vela, alla pesca e allo yoga di livello internazionale.
Brucoli, Augusta
La società Azzurra Ca
Murro di Porco, Siracusa
L’imprenditore under 30 Sebastian Cortese ha proposto un modello di business articolato su vari fronti: ristorazione, marketing, congressi, eventi e ben 14 posti letto tra suite e boutique apartment.
pital srl lo trasformerà in punto di accoglienza turistica associato ai prodotti enogastronomici locali.
Punta Imperatore, Forio D’Ischia
La società tedesca Floatel GMbH, che vanta una esperienza di riqualificazione di fari in Scozia, Spagna e Germania, lo trasformerà in un rifugio inteso come spazio di riflessione. Previsto un approccio minimal e standard elevati.
San Domino, Isole Tremiti
Anche qui, come a Forio D’Ischia, la società Floatel GMbH realizzerà un rifugio di lusso.
Capo D’Orso, Maiori
Sarà gestito dal WWF che accanto agli spazi per l’ospitalità realizzerà un osservatorio marino-costiero, un centro visite, percorsi natura e una bottega dei sapori.
Punta Fenaio, Isola del Giglio
La la società S.N.P. di Pini Paola & C. dopo la riqualificazione gestirà un’attività ricettiva legata ai caratteri distintivi del territorio.
Punta Capel Rosso, Isola del Giglio
La ATI Raggio- Le Esperidi realizzerà un museo dinamico per il mantenimento della memoria storica del faro. Ogni componente dovrà essere coerente con l’idea di recupero e compatibile con gli obiettivi dell’Ente Parco e di sviluppo del territorio.
Dalla sala da pranzo con il tubo catodico che trasmetteva in bianco e nero Carosello, alla zona living in cui brillano i colori della TV OLED sintonizzata su un film in 4k; dalle prime lavatrici a cestello con comando manuale nell’unico bagno di famiglia, a lavatrici piccole e silenziose, tanto da essere ospitate nel bagno en suite. Come si sono trasformate le nostre case dagli anni Cinquanta ad oggi, e che ruolo ha giocato la tecnologia in questa evoluzione? La risposta arriva dall’analisi condotta dal Centro Studi di Casa.it e da LG, in occasione del Fuorisalone, da cui emerge il ruolo dominante della zona living, più ampia in media del 45% e che accoglie la cucina. Minore spazio per le camere da letto mentre cresce l’esigenza di più bagni anche in ambienti piccoli. Allo stesso tempo l’innovazione tecnologica anticipa questo mutamento proponendo soluzioni di design e di arredo: se da un lato aumentano le dimensioni di TV e frigorifero, per altri elettrodomestici, come la lavatrice, aumenta la capacità rimanendo in dimensioni standard.
“Nel corso dei decenni le case degli italiani hanno dato espressione al cambiamento della cultura, degli usi e dei costumi di un intero Paese”, commenta Alessandro Ghisolfi, responsabile del Centro Studi Casa.it. “La suddivisione degli spazi ce lo racconta, attraverso stanze che oggi, rispetto al passato, si sono modificate radicalmente creando ambienti più funzionali e ridefinendo l’organizzazione della vita domestica. Un esempio lampante è dato dalla zona living, protagonista assoluta dei nostri tempi e a cui si dedica il 40/45% della superficie totale occupata. Un luogo che ha incluso la cucina, che prima ricopriva una porzione piccola e separata, dando forma a un ambiente più ampio e accogliente, che concepisce il cibo come un momento di grande socialità”.
“I cambiamenti nella suddivisione degli spazi all’interno delle case degli italiani hanno ovviamente influito sulle loro abitudini ed esigenze in fatto di elettrodomestici”, commenta Sergio Buttignoni, Consumer Marketing Senior Manager LG Electronics Italia. “Rispetto al passato è cresciuta l’attenzione all’estetica del prodotto, oltre che alle sue funzionalità. Seguendo l’esempio della zona living, questa nuova zona della casa ha portato i consumatori italiani ad orientarsi verso elettrodomestici in grado di arredare, oltre che di svolgere la loro abituale funzione. Un esempio su tutti è il frigorifero, non più relegato in cucina ma vero e proprio oggetto di design esposto in bella vista nella zona più frequentata della casa, il living appunto. Anche il tanto amato TV ha subito l’influenza di questa nuova stanza; oggi infatti quello della zona living è spesso l’unico TV per un ambiente molto ampio, motivo per cui i consumatori preferiscono sempre più spesso schermi dai 55 pollici in su con design e prestazioni al top. Nel 2015 la vendita di TV OLED, i cui schermi partono appunto dai 55 pollici, è cresciuta di circa il 464% rispetto all’anno precedente”.
La Zona Living che integra cucina, ingressi e corridoi
La cucina, da locale considerato “di servizio”, con il passare del tempo è cresciuta per importanza e dimensioni, fino a diventare parte integrante della zona living. Questa tendenza, già in atto dagli anni Novanta, si è ormai consolidata soprattutto in appartamenti di metratura inferiore ai 90 mq. Se nelle abitazioni costruite negli anni ’60, nel 95% dei casi la cucina era un locale a sé stante, negli ultimi 10 anni il locale dedicato è scomparso andandosi ad integrare con il soggiorno. È questa oggi l’area degli appartamenti moderni che si può considerare più importante, se non altro in termini di metratura. In un immobile di 100 mq, l’area living oggi è circa il 40/45% del totale nel caso di cucina open space e 35% nel caso di cucina separata.
Il nido d’amore è sempre più intimo
Negli anni Sessanta la camera da letto era considerata un ambiente più centrale nella vita domestica e la sua superficie poteva arrivare a misurare fino a 20 mq all’interno di un appartamento di 100 mq. Oggi, in appartamenti delle stesse dimensioni, la camera da letto misura in media circa 13 mq. Questa tendenza è andata sempre di più affermandosi con la moda della “cabina armadio”, ricavata in appartamenti a partire dai 95/100 mq.
Meno spazio, ma più bagni
Anche il bagno ha subito una trasformazione in termini di spazi occupati. Tra gli anni Cinquanta e Settanta, all’interno degli appartamenti ne era presente solo uno, generalmente di ampie dimensioni (superiori ai 12 mq). Oggi, invece, anche in appartamenti più piccoli (70 mq), si tende a progettare interni che abbiano almeno due bagni, ma di dimensioni minori. La nuova tendenza? Il bagno en suite, accessibile e ricavato direttamente dalla camera da letto.
fonte quotidiano casa.it 16/4/2016